Saburo Teshigawara e l’interiorizzazione della musica

Foto di Mariko Miura

Per la prima volta al Teatro Regio di Parma sabato 6 aprile, il coreografo giapponese Saburo Teshigawara porta in scena un caposaldo della sua produzione insieme alla storica partner Rihoko Sato. Tristan and Isolde è una libera interpretazione dell’omonimo dramma musicale di Richard Wagner, un capolavoro ispirato alla celebre storia d’amore, narrata nel ciclo arturiano, di Tristano e Isotta. Sottrazione è la parola chiave per definire il processo creativo messo in campo da Saburo Teshigawara. Rifuggendo da una rilettura più tradizionale, il coreografo non si limita a trasformare i tre atti del dramma in una coreografia per soli due interpreti ma, liberando la creazione da qualsiasi intento narrativo, ricerca una densità espressiva che è propria della musica. La danza, una mancata unione tra due corpi ostacolati da una forza invisibile, interiorizza il sentimento della musica riflettendo – e non raccontando – il desiderio, la passione, la disperazione per un amore irraggiungibile. Saburo Teshigawara ottiene così una suggestiva fusione tra danza e musica attraverso l’interiorizzazione fisica della melodia wagneriana.

Silvia Mozzachiodi

La primavera dei corpi

Guarda All the World’s Alive Again su Nowness

Tra le tante rappresentazioni artistiche della primavera il cortometraggio All the World’s Alive Again, diretto da Mariano Vivanco e coreografato da Benoit Swan Pouffer, offre un’interpretazione singolare. A rappresentare il risveglio della natura non sono prati verdeggianti o fioriture rigogliose, ma la danza vibrante di cinque danzatori della compagnia Rambert. Nella fredda cornice di uno spazio spoglio, i loro corpi si risvegliano dal lungo sonno invernale sulle note della Primavera di Antonio Vivaldi nella riscrittura di Max Richter. La musica, accompagnata visivamente da una luce intermittente, è la scintilla che scuote dal torpore, è l’impulso che desta movimenti palpitanti, esplorati dai danzatori con crescente ardore. Efficace è il contrasto tra le tinte fredde dell’ambiente circostante e il calore di una danza intrinsecamente solare, traboccante di una condivisa energia nello spirito di una armoniosa connessione con la natura. All the World’s Alive Again ricorda in un certo senso i video in time-lapse dei fiori che sbocciano, avvolti da una misteriosa bellezza, l’idea della rinascita.

Silvia Mozzachiodi

Donne che hanno scritto la storia della danza

“Il problema della donna nell’arte rientra nel più generale problema dell’eguaglianza”: così tuonava la storica dell’arte Linda Nochlin nel 1977, riconducendo il divario numerico tra gli artisti uomini e le artiste donne ai costrutti socioculturali che per secoli hanno incasellato, o forse è più appropriato dire ingabbiato, la figura femminile. Gli stessi meccanismi sociali hanno contraddistinto inizialmente anche la storia del balletto, precludendo alle donne di intraprendere una carriera nel campo coreografico secondo una visione lavorativa che considerava la creazione una virtù maschile e l’esecuzione una mansione femminile. Fino all’Ottocento le prime ballerine, vere e proprie dive dell’età romantica, potevano vantare compensi più alti rispetto a quelli dei colleghi ballerini, relegati al ruolo di porteur, ma non incarichi coreografici. Le prime ad infrangere il sistema furono: Thérèse Elssler, la prima donna a coreografare un balletto per il Teatro dell’Opéra di Parigi (La Volière ou les oiseaux de Boccace, 1838); Fanny Cerrito, non solo acclamata interprete del balletto romantico ma anche coreografa di talento (Gemma, 1854); Maria Taglioni, la ballerina romantica per antonomasia che ha rivoluzionato in punta di piedi l’estetica del balletto (Le Papillon, 1860). Il loro lavoro fu interpretato come un atto di insubordinazione, del tutto immotivato e inopportuno: “Eh! Mio Dio, perché poi avere altre ambizioni, quando si è carina, adorabile e adorata?” scrisse una firma di “La Patrie” a commento del balletto di Fanny Cerrito.

Anche se i tre balletti furono considerati dalla critica non all’altezza di quelli realizzati dai colleghi, il merito di Elssler, Cerrito e Taglioni fu di aver aperto un varco alle (pochissime) future coreografe “accademiche” del Novecento. Nella prima metà del secolo, in un panorama coreografico – quello del balletto – ancora interamente maschile, un’artista carismatica e di grande talento riuscì a imporsi: Bronislava Nijinska, la prima donna ad essere nominata coreografa ufficiale dei Ballets Russes per i quali realizzò celebri produzioni, come Les Noces (1923),  Les Biches (1924) e Le Train Bleu (1924), divenendo un personaggio di spicco del XX secolo. Un’altra figura molto importante, contemporanea di Nijinska, fu Dame Ninette de Valois che dedicò gran parte della sua carriera alla fondazione di una compagnia nazionale (il Vic-Wells Ballet, in seguito rinominato Sadler’s Wells Ballet e poi Royal Ballet) e alla crescita di una brillante generazione di ballerini e coreografi inglesi (tra i quali Margot Fonteyn e Kenneth MacMillan), apportando così un fondamentale contributo allo sviluppo del balletto britannico e alla sua affermazione a livello internazionale.

Non posso non citare due grandi stelle del balletto classico che hanno esemplificato la libertà di pensiero. Maya Plisetskaya, prima ballerina assoluta del Teatro Bolshoi di Mosca, fu un simbolo di libertà. Segnata dalla tragica vicenda della sua famiglia che fu vittima delle grandi purghe staliniane – il padre fu giustiziato e la madre deportata in un gulag – la ballerina fu una donna dalla mentalità indipendente. Sfidò apertamente le autorità culturali sovietiche, riuscendo a salvare il balletto Carmen dalla censura per eccessivo modernismo e sensualità (1967), e riuscì a coreografare due titoli (Anna Karenina, 1972 e Il gabbiano, 1980) in un’epoca in cui il ruolo del coreografo fu sempre ricoperto da soli uomini. L’altra prima ballerina assoluta dallo straordinario temperamento fu la cubana Alicia Alonso, che si oppose alla richiesta del dittatore Fulgencio Batista di trasformare la sua compagnia, il Ballet de Cuba, in uno strumento di propaganda ed offrì il suo appoggio politico a Fidel Castro. Fu inoltre l’incarnazione della forza d’animo. I suoi gravi problemi visivi, che la condussero progressivamente alla cecità nonostante i vari interventi chirurgici, non compromisero la sua lunghissima e internazionale carriera ma la spinsero a interiorizzare la percezione del corpo e dello spazio scenico e a sviluppare un’espressività unica.

Se nel balletto le coreografe sono state una minoranza, nella danza non accademica sono state una bellissima consuetudine. All’alba del XX secolo una nuova espressività corporea, antitetica ai codici della danza classica, fu sviluppata da tre donne americane passate alla storia come le pioniere della danza moderna: Loïe Fuller, Isadora Duncan e Ruth St. Denis. Le tre danzatrici, indipendenti, rappresentarono l’evoluzione dell’immaginario femminile nella danza e nella società. Loïe Fuller sottolineò questo aspetto nella sua autobiografia condividendo un articolo di Le Temps incentrato sulla rapida ascesa delle donne, pronte a soppiantare il cosiddetto sesso più forte. Isadora Duncan riuscì ad influenzare non solo il mondo artistico ma anche l’opinione pubblica elevando il corpo femminile, esaltato nella sua armonia con semplici tuniche alla greca, quale simbolo della libertà della donna e della sua emancipazione e dunque strumento di sovversione culturale. Anche Ruth St. Denis, profondamente influenzata dalla madre Emma Hull, vicina ai movimenti protofemministi e tra le prime americane a laurearsi in medicina, scrisse una poesia intitolata emblematicamente The Voice of Woman (1946):

Have we not had enough of the minds of men?

The logical disputations and the sects arising from them?

Have we not had enough of the indifference?

In the scriptures, to the life and need and wisdom of women?

Ruth St. Denis

La rivoluzione estetica compiuta dalle tre pioniere fu ereditata dalla prima generazione della modern dance, in particolare dai “Big Four”, i quattro grandi. Ebbene, tre erano donne: Martha Graham, Doris Humphrey e Hanya Holm, nomi che hanno scritto un capitolo imprescindibile della storia della danza. Con loro studiò Anna Halprin, coreografa che ha rivoluzionato la scena americana del secondo Novecento promuovendo una concezione fortemente democratica e inclusiva della danza. La sua lezione esercitò una profonda influenza sulla generazione della post-modern dance, costellata di meravigliose figure femminili come Trisha Brown, eclettica coreografa e importante visual artist.

Non mancano esempi di coreografe coraggiose che hanno trovato nella danza uno strumento di contestazione sociopolitica e di rivendicazione culturale. La svedese Birgit Cullberg partecipò attivamente alla vita politica del suo Paese militando nel partito socialdemocratico, schierandosi con l’associazione Clarté contro i totalitarismi e trasferendo il suo impegno politico in Kulturpropaganda, coreografato nel 1941 quando la Svezia fu invasa dai nazisti. L’americana Anna Sokolow affrontò nei suoi lavori sia tematiche sociali come la difesa dei diritti dei lavoratori (Strange American Funeral, 1935), sia istanze politiche come la denuncia delle atrocità della guerra (Anti-War Trilogy, 1933, o Slaughter of the Innocents, 1937) e del fascismo in Italia (Excerpts from a War Poem e Façade – Exposizione Italiana, 1937) e la sua solidarietà alle comunità ebraiche negli anni della seconda guerra mondiale (Songs of a Semite, 1943). L’americana Katherine Dunham, pioniera della black dance, offrì invece un sostanziale contributo alla campagna del New Negro Movement e diventò un’attivista del movimento per i diritti civili degli afroamericani, trasformando la danza in un atto politico di affermazione della propria identità.

A conclusione di questo mosaico una donna che ha cambiato il panorama teatrale tout court con il suo Tanztheater: Pina Bausch, tra le più grandi coreografe del secondo Novecento, autrice di una danza di toccante naturalezza e umanità che, senza ricorrere al virtuosismo, parla il linguaggio del cuore.

Silvia Mozzachiodi