Yves Saint Laurent e la danza

Yves Saint Laurent, costume per il Music Hall Spectacle Zizi Jeanmaire, 1963.
© Fondation Pierre Bergé – Yves Saint Laurent.

“The couture is a dream, like opera or ballet”.

Yves Saint Laurent

Per celebrare il 60° anniversario della prima sfilata di Yves Saint Laurent, Parigi rende omaggio al suo “Re” (soprannome attribuitogli dalla stampa americana) con “Yves Saint Laurent aux Musées”, una mostra singolare dislocata in sei prestigiosi musei: Centre Pompidou, Musée d’Art Moderne de ParisMusée du Louvre, Musée d’Orsay, Musée National Picasso Paris e Musée Yves Saint Laurent Paris. L’esposizione, pensata come un viaggio, mette in luce un elemento chiave della sconfinata creatività dello stilista: il costante e profondo legame con l’arte. Nel corso della sua carriera Yves Saint Laurent trovò una fonte d’ispirazione in pittori quali Piet Mondrian, Henri Matisse e Fernand Léger, reinterpretando le loro opere in collezioni al crocevia tra moda e arte.

Amante della letteratura (Marcel Proust fu tra i suoi scrittori preferiti), Yves Saint Laurent nutrì una forte passione anche per il mondo del teatro. Il colpo di fulmine risale al 1949 quando, all’età di tredici anni, vide la commedia La scuola delle mogli di Molière. Affascinato dalla scenografia di Christian Bérard, il giovane Saint Laurent costruì il suo “Illustre Petit Théâtre”, un palcoscenico in miniatura popolato da personaggi di cartone sui quali disegnava i costumi.

A partire dagli anni Cinquanta, parallelamente alla carriera di stilista, Yves Saint Laurent trasformò questa passione in un lavoro, collaborando in veste di costumista con registi del calibro di Stanley Donen (Arabesque, 1966), Luis Buñuel (Bella di giorno, 1967), François Truffaut (La mia droga si chiama Julie, 1969) e Claude Régy (La Chevauchée sur le Lac de Constance, 1974). Singolare fu la collaborazione con il coreografo Roland Petit che gli aprì le porte di un mondo magico e incantato: il balletto. Dalla teatralità di Cyrano De Bergerac (1959) al lirismo di La Rose Malade (1973), i costumi disegnati da Yves Saint Laurent interpretarono alla perfezione lo spirito dei balletti di Roland Petit, contribuendo a determinarne il fascino spettacolare.

Probabilmente il suo lavoro più rappresentativo fu quello per Notre-Dame de Paris (1965), balletto in due atti ispirato all’omonimo romanzo di Victor Hugo. I costumi, innovativi in termini di invenzione e immaginazione, riflettevano nelle forme e nei materiali la modernità del balletto di Petit nonostante l’ambientazione medievale. Yves Saint Laurent dimostrò anche una particolare abilità nel creare una sintesi tra danza, moda e arte. Nel primo atto, ad esempio, i costumi del corpo di ballo richiamavano i colori delle vetrate della cattedrale di Notre-Dame, mentre quello di Febo riprendeva la geometrica combinazione di colori tipica dei quadri di Piet Mondrian.

Jean-Pierre Bonnefous, Claire Motte, Yves Saint Laurent, Roland Petit e Cyril Attannassof, Notre-Dame de Paris, Opéra Garnier, Paris, 1965. Foto di Giancarlo Botti.

Altrettanto famosa fu la collaborazione con la musa ispiratrice (e moglie) di Roland Petit: Zizi Jeanmaire, una danzatrice completa capace di passare dal balletto al music-hall. Tra le figure più amate dello spettacolo francese del secondo Novecento, Zizi Jeanmaire diventò anche un’icona della moda parigina grazie alle creazioni che Yves Saint Laurent disegnò per tutti i suoi spettacoli, tra i quali Mon truc en plumes (1961), Zizi je t’aime (1972) e Hollywood Paradise (1984). Ricchi di piume, paillettes e strass, i costumi creati dallo stilista furono allo stesso tempo un’espressione e un’estensione della presenza scenica di Zizi Jeanmaire, un compendio di carisma, verve ed eleganza, capace di infiammare il pubblico in sala.

Yves Saint Laurent portò la moda nella danza, ma anche la danza nella moda. Il suo interesse per il balletto ispirò infatti due famose collezioni. La prima fu “Opéra-Ballets Russes” (1976), un omaggio alla celebre compagnia di Sergej Djagilev che all’inizio del XX secolo modernizzò il balletto offrendo ai maggiori artisti dell’epoca uno spazio creativo dove sperimentare la propria libertà espressiva. Traendo ispirazione dai costumi realizzati dal pittore Léon Bakst per i Ballets Russes, Saint Laurent trasferì nei propri capi il carattere esotico dei balletti nonché la brillante tavolozza di colori sfoggiata da Bakst. La seconda collezione, realizzata nel 1979, fu dedicata alla collaborazione tra Sergej Djagilev e Pablo Picasso per Parade (1917), un balletto rivoluzionario espressione di una perfetta sintesi delle arti.

Silvia Mozzachiodi

Notre-Dame de Paris di Roland Petit

Notre-Dame de Paris di Roland Petit
Bakhtiyar Adamzhan in Notre-Dame de Paris

Sono trascorsi dieci anni dalla scomparsa di Roland Petit ma il suo genio, fatto di immaginazione coreografica, sensibilità musicale e sapienza culturale, continua a brillare nella preziosa eredità che ha lasciato al mondo della danza. Un repertorio ricco ed eclettico, contraddistinto da una forte propensione al racconto con soggetti tratti dalla letteratura. Tra questi spicca Notre-Dame de Paris, balletto in due atti ispirato all’omonimo romanzo di Victor Hugo. Creato per l’Opéra di Parigi nel 1965, è considerato uno dei suoi lavori più rappresentativi, sia per l’inventiva coreografica che per l’accurata scelta dei collaboratori: il compositore Maurice Jarre, autore di indimenticabili colonne sonore quali Lawrence d’Arabia (1962) e Il dottor Zivago (1965), il regista e scenografo René Allio e lo stilista Yves Saint Laurent.

Adattare in chiave coreografica un romanzo dalla monumentale lunghezza come Notre-Dame de Paris è sicuramente un’operazione complessa. Ma il coreografo ha dimostrato una particolare abilità drammaturgica nel sapere sintetizzare la storia in poche ed essenziali scene – nello specifico tredici quadri – capaci di esprimere l’essenza più profonda dell’opera letteraria. Il movimento diventa verbo, parola, racconta con drammatica intensità tutti i sentimenti che percorrono il romanzo: l’amore, la passione, la gelosia, la ferocia, la compassione. A ben vedere poi, la danza non è estranea al capolavoro di Victor Hugo, contraddistinto da espliciti riferimenti all’arte del movimento attraverso il personaggio di Esmeralda, l’incantevole danzatrice zingara:

La sua voce come la sua danza, come la sua bellezza, era indefinibile e affascinante; qualcosa di puro, di sonoro, d’aereo, d’alato, per così dire.

Victor Hugo

Esmeralda, descritta dallo scrittore come una creatura “folle per la danza”, balla sarabande provenzali nella piazza del Sagrato, facendo girare il suo tamburello, volteggiando agile e leggera con invisibili ali ai piedi. Ma al di là di queste chiare descrizioni, il romanzo è ricco di scene dal chiaro potenziale coreografico, dalla teatralità della folla nelle piazze alla “danza” di Quasimodo con le campane:

Sospeso sull’abisso, nello slancio dell’oscillazione straordinaria della campana, afferrava il mostro di bronzo per le orecchie, lo stringeva con i ginocchi, lo spronava con i talloni e raddoppiava con tutta la spinta e con tutto il peso del suo corpo la furia del suono a distesa.

Victor Hugo

La storia di Quasimodo ed Esmeralda ha ispirato dall’anno di pubblicazione del romanzo (1831) vari adattamenti coreografici ma, a mio avviso, quello di Roland Petit riflette maggiormente lo spirito di Notre-Dame de Paris. Mentre i precedenti coreografi avevano concentrato l’attenzione sul personaggio femminile della zingara, a cominciare da Jules Perrot che nel 1844 aveva coreografato La Esmeralda, Roland Petit è il primo coreografo a creare un balletto che porta il titolo originario del romanzo. E la cattedrale, grande “protagonista” dell’opera di Victor Hugo, domina la scena di molti quadri del balletto nella stilizzata modernità del disegno scenografico di René Allio.

La raffinatezza del lavoro coreografico consiste nella capacità del coreografo di tratteggiare la psicologia dei quattro personaggi principali – in ordine di apparizione Quasimodo, Frollo, Esmeralda e Phoebus – adottando per ciascuno un preciso registro stilistico. Quasimodo, ruolo che Roland Petit aveva interpretato al debutto, ha un movimento disarmonico, in grado di suggerire la deformità fisica del campanaro, gobbo e storpio, senza dover ricorrere ad una protuberanza del costume. Frollo, l’arcidiacono dal lato oscuro, travolto da un incontrollabile desiderio nei confronti di Esmeralda, è il personaggio che più di ogni altro traduce nella danza le metafore del romanzo: lo sguardo furtivo e ardente nei confronti della zingara rievoca “l’occhio di un nibbio” che dall’alto del cielo punta “una povera allodola rannicchiata nel grano”; i salti rappresentano il volo di “un pipistrello” e le mani assomigliano agli “artigli di un aquila”. Esmeralda, l’unico personaggio femminile, si muove con leggerezza e agilità, alternando movimenti lenti e sensuali ad altri più decisi e spigolosi, compiendo gesti che mettono a nudo la sua umanità. Infine Phoebus, il capitano degli arcieri del re, la cui danza – spavalda e potente – porta in superficie la sua vera identità: quella di un seduttore senza scrupoli.

Altri punti di forza del balletto, comuni a tutti i (capo)lavori di Roland Petit, sono: da un lato il sapiente utilizzo del passo a due, in particolare quello tra Esmeralda e Quasimodo che rende visibile la loro crescente fiducia che culmina in una presa di grande tenerezza con il gobbo che fa oscillare la zingara come una campana; dall’altro la forza delle scene corali, dove il corpo di ballo non è un elemento decorativo, ma rappresenta un altro grande protagonista del romanzo, il popolo.

Silvia Mozzachiodi

Pink Floyd Ballet: la danza in chiave rock

Se la danza è un’arte che coinvolge due canali di percezione sensoriale, la vista e l’udito, Pink Floyd Ballet rappresenta a tutti gli effetti un’esplosione sinestetica: da un lato l’inconfondibile universo musicale dei Pink Floyd, gruppo rock britannico che ha segnato la storia della musica; dall’altro la danza di Roland Petit, coreografo francese tra i principali esponenti del balletto moderno. Il risultato è un concerto coreografico in chiave rock che innerva la scena di una forza elettrizzante.

Al debutto, tenutosi nel 1972 al Palais des Sports di Marsiglia, i Pink Floyd suonarono dal vivo per il Ballet de Marseille. Fu un evento straordinario nel senso più stretto del termine, non soltanto perché passò alla storia come il primo balletto a cui prese parte un gruppo rock, ma perché scardinò la compartimentalizzazione della cultura presentando un radicale cambiamento di prospettiva nella fruizione dello spettacolo. Il balletto, uscendo dal proprio contesto di appartenenza, il teatro, e immergendosi in un luogo deputato anche ai concerti, il palasport, ridefinì la sua entità da arte d’élite ad arte pop.

La coreografia, una fusione tra la tecnica accademica e il vocabolario della danza moderna, è strutturata in una sequenza di assoli, passi a due e scene d’insieme, ampliati nel corso degli anni con l’aggiunta di brani tratti dai successivi album della band, The Dark Side of the Moon (1973) e The Wall (1979). Roland Petit, con abilità quasi “sartoriale”, confeziona un abito coreografico che calza a pennello con il sound dei Pink Floyd. Crea una connessione così stretta tra il movimento e il suono da produrre una singolare simbiosi di musica e danza.

In One of These Days, tratto dall’album Meddle (1971), la pulsazione martellante del basso riverbera nei corpi dei ballerini con grande forza espressiva in un flusso di energia che sembra scorrere sottopelle e che mette in risalto la perfetta sincronizzazione dei movimenti. La danza si appropria del ritmo della musica, valorizzando al massimo sia l’atmosfera musicale sia la dimensione ritmica dei suoi passi.

Una piccola curiosità che apre una breve parentesi su One of These Days. Nello stesso anno in cui debuttò Pink Floyd Ballet, il regista britannico Ian Emes realizzò French Windows, un corto d’animazione ispirato al suddetto brano con dei ballerini che danzano passi classici come il doppio tour en l’air o la cabriole. Il video fu mostrato al music show The Old Grey Whistle Test della BBC.

Tornando al rapporto danza e musica nel balletto di Roland Petit, la capacità del coreografo di affrontare frontalmente la sonorità dei Pink Floyd è particolarmente evidente in Money, una canzone tratta dall’album The Dark Side of the Moon che condanna l’attaccamento al denaro come uno dei “lati oscuri” della natura umana. Il brano inizia con un particolare effetto sonoro, ottenuto mettendo insieme vari rumori come il suono di un registratore di cassa e il tintinnio dei soldi, che Roland Petit traduce in un movimento meccanico del braccio. È un gesto che ricorda il tiro-rilascio della leva di una slot machine, immagine che esemplifica chiaramente la dipendenza da denaro; un concetto successivamente suggerito da grandi salti, veloci giri e soprattutto ampie circonduzioni del capo, perché i soldi danno alla testa.

La raffinatezza del lavoro coreografico consiste anche nella brillante immaginazione di Roland Petit che per Pink Floyd Ballet inventa gesti e movimenti che rimangono impressi negli occhi degli spettatori. Un esempio è il passo a due sulle note di Echoes (album Meddle). Quando inizia la prima strofa, “Sospeso sopra le nostre teste, l’albatro rimane immobile sull’aria”, la ballerina scivola sulla scena in spaccata, tirata per mano dal partner.

A enfatizzare la sensazione di un concerto rock è il lighting design ideato da Jean-Michel Desirè nel 2004 quando il balletto fu ripreso dalla compagnia Asami Maki Ballet Tokyo. Contraddistinto da luci e laser colorati che vanno a creare delle architetture intorno ai corpi dei danzatori, il disegno luci presenta uno stile complementare ai celebri light shows dei Pink Floyd, spettacoli che offrivano un’esperienza dal forte impatto visivo giocando con luci, laser, fumi ed altri effetti speciali.

Pink Floyd Ballet è stato rappresentato in tutto il mondo e nei più svariati contesti, tra i velluti degli enti lirici e in suggestive location all’aperto come il Porto vecchio di Marsiglia e le Terme di Caracalla a Roma. E pensare che Roland Petit creò questo balletto quasi per caso, dietro suggerimento della figlia adolescente Valentine: “Papà, devi fare un balletto su questa musica; per danzare non c’è di meglio”. L’idea iniziale era di fare un balletto ispirato Alla ricerca del tempo perduto di Marcel Proust che avrebbe coinvolto i Pink Floyd, Rudolf Nureyev, un corpo di ballo formato da cinquanta ballerini, un’orchestra di 108 elementi e il regista Roman Polański per la produzione di un film. Un’impresa titanica che, per numerose ragioni, non decollò ma che si trasformò in un balletto essenziale, interamente giocato sul connubio esplosivo di musica e danza.

Silvia Mozzachiodi