Ideato nel 2015, MOVEment è un progetto di AnOther Magazine che ha sondato la relazione tra danza e moda non sul palcoscenico o in passerella ma all’interno dell’inquadratura cinematografica. La sua qualità risiede nella ricerca di un’associazione ideale tra le tre discipline, conseguita grazie al rapporto collaborativo stretto da coreografi, stilisti e registi nel segno della massima libertà creativa e di un spiccato istinto per la sperimentazione. Scopri (cliccando sulle foto) i sette cortometraggi di MOVEment, ciascuno caratterizzato da precisi proponimenti estetici e formali.
Tanztheater Wuppertal E Prada
Fallen, diretto dal regista Kevin Frilet, riflette la cifra stilistica della compagnia fondata da Pina Bausch. In uno spazio abbandonato, sotto una lieve ma costante pioggia di piume, dieci danzatori danno vita a molteplici storie attraverso l’essenzialità del linguaggio coreografico. I loro movimenti, di una verità emozionale disarmante, rivelano debolezze, inquietudini e sentimenti, raccontati spesso da gesti quotidiani, ora affettuosi ora violenti. Senza dubbio il più poetico dei sette cortometraggi, la caduta delle piume diventa una metafora della fragilità degli esseri umani.
Wayne McGregor e Gareth Pugh
MOVEment segna la terza collaborazione tra il coreografo Wayne McGregor e lo stilista Gareth Pugh. Diretto da Ruth Hogben, il cortometraggio è incentrato sull’astrazione formale del corpo che, frammentato da linee orizzontali o intrappolato in una fitta rete di corde, assume nuove forme. Ad enfatizzare la trasfigurazione del corpo concorrono i giochi di luce e la ripetizione in loop dei movimenti, producendo una serie di illusioni visive.
Russell Maliphant e Iris Van Herpen
In Spatial Reverse, diretto da Warren du Preez e Nick Thornton Jones, il coreografo Russell Maliphant e la stilista Iris Van Herpen radicalizzano una dimensione propria della danza: la metamorfosi del corpo. Fin dalla prima inquadratura, una materia elastica si muove sospesa nell’oscurità: è il tessuto della tunica indossata dalla danzatrice Carys Staton. Dopo aver fluttuato nello spazio come in assenza di gravità, la protagonista riemerge dalla penombra avvolta da un costume che ricorda un bozzolo. In entrambi i casi l’estensione “sartoriale” della sua figura diventa un modo per creare un nuovo corpo o per mostrarlo sotto una forma inedita.
Julie Kent con Jonah Bokaer e Calvin Klein
(), titolo del cortometraggio diretto da Daniel Arsham, suggerisce graficamente la direzione creativa intrapresa dal coreografo Jonah Bokaer: l’astrazione geometrica. In uno spazio dominato da giganti sfere, i movimenti di Julie Kent (storica principal dancer dell’American Ballet Theatre) e Jonah Bokaer tracciano nello spazio linee geometriche, enfatizzando la purezza di una danza lineare che trova un corrispettivo negli abiti creati da Francisco Costa.
Ryan Heffington e Ju Chalayan
Glamour è il cortometraggio Mangekyou del fotografo e regista Jacob Sutton, chiaramente influenzato dall’estetica dei video musicali. La coreografia di Ryan Heffington, eseguita abilmente dal duo giapponese AyaBambi, consiste in rapide sequenze coreografiche di mani e braccia, movimenti decisi come la musica di MikeQ e il taglio degli abiti di Chalayan. Girato in bianco e nero, le danzatrici si stagliano su un fondo neutro, generando un contrasto cromatico che ricorda quello della calligrafia giapponese.
Marie-Agnès Gillot e Alexander McQueen

Pointe, diretto dal regista e artista visivo Daniel Askill (autore del video Chandelier di Sia), nasce dalla collaborazione tra l’étoile Marie-Agnès Gillot e Alexander McQueen. Centrale è il rapporto tra danza e musica, suggellato dal duetto tra la danzatrice e il batterista George Barnett. L’uno di fronte all’altro, il loro dialogo prosegue in un crescendo che culmina nella sospensione in aria della Gillot. La stretta aderenza tra il movimento incorniciato da un lungo abito di pizzo nero e il suono percussivo della batteria si realizza nella condivisione di una energia sferzante.
Jasmin Vardimon e Stephen Jones Millinery

Il cortometraggio di Matthew Donaldson, realizzato per la casa automobilistica Ford in collaborazione con il modista Stephen Jones Millinery, esplora il concetto di body mapping attraverso la coreografia di Jasmin Vardimon. Il corpo della danzatrice diventa una tela bianca che progressivamente accoglie i segni tracciati dalla mano con un pennarello nero. I movimenti, fluidi e dinamici, suggeriscono la dimensione gestuale della pittura anche nelle sequenze prive di pennarello. Nota di spicco il cappello realizzato da Stephen Jones Millinery che, ispirato al poggiatesta della macchina, si trasforma in un oggetto scultoreo.
Silvia Mozzachiodi