La Voix Humaine di Jean Cocteau è un capolavoro teatrale di grandissima essenzialità drammaturgica e scenica: un atto, una camera da letto e un’interprete femminile distrutta dalla conversazione telefonica con il suo amante. Dal 1930, anno della sua prima rappresentazione alla Comédie-Française, l’opera ha ispirato il mondo delle arti dando vita a molteplici versioni: il film L’Amore di Roberto Rossellini con Anna Magnani (1948), la tragédie lyrique di Francis Poulenc con Denise Duval (1959) e il teatrodanza di Roland Petit con Alessandra Ferri (1994). Nel 2021 Nanine Linning, coreografa dall’approccio multidisciplinare, ha creato per il Boston Ballet una versione che fonde cinema, musica e danza.
Il suo dance film, perfettamente aderente all’intensità vocale del soprano Duval e all’espressione musicale della composizione di Poulenc, è un affondo nella mente e nel cuore della donna, fragile e disorientata, immersa nell’oscurità della propria afflizione. I movimenti, al pari dei gesti e dei respiri, sono la proiezione tangibile dei suoi sentimenti, espressi con singolare intensità da Ji Young Chae, Principal Dancer del Boston Ballet. Nel rispecchiare le varie sfumature emotive vissute da colei che viene indicata con un generico “Elle”, la coreografia presenta un ritmo cangiante, oscillando continuamente tra fremiti, rimpianti e abbattimenti. Singolari sono le immagini coreografiche che costituiscono un contrappunto poetico alle parole di Jean Cocteau: il volto coperto da una pittura nera rievoca il pianto; la percezione di una carezza nella penombra riecheggia il verso “bastava uno sguardo per cambiare tutto”; il respiro sulla pelle richiama “la voce intorno al collo”. Anche la costruzione scenica diventa un prolungamento dello stato d’animo della protagonista, fisicamente accerchiata da una fitta ragnatela che riflette il suo senso di solitudine.
La Voix Humaine di Nanine Linning si differenzia dalla pièce teatrale per alcune soluzioni che hanno la finalità di portare alla luce il tumulto interiore della donna. Il telefono, vero coprotagonista dell’opera, appare solamente tre volte, una scelta che riflette la volontà della coreografa e regista di raccontare non la conversazione telefonica in sé ma la complessa situazione psicologica scaturita dal dialogo. Non a caso, nel corso della coreografia la danzatrice è circondata da una serie di figure senza volto o con due facce, oscure incarnazioni di quelle forze misteriose che agiscono sulla psiche condizionandola. Nel finale il filo del telefono è simbolicamente rappresentato dai lunghi capelli neri che progressivamente avvolgono il corpo di Elle esamine.
Silvia Mozzachiodi