Maurice Béjart: la danza è musica visiva

Roberto Bolle in Boléro di Maurice Béjart
Roberto Bolle in Boléro di Maurice Béjart © Laura Ferrari

Ci sono opere che trascendono il tempo. Il Boléro di Maurice Béjart è senza dubbio tra queste. In scena dal 10 al 17 maggio al Teatro Arcimboldi di Milano con Roberto Bolle e il Béjart Ballet Lausanne, è ancora oggi la più celebre interpretazione coreografica della musica di Maurice Ravel, a più di sessant’anni dalla prima rappresentazione al Théâtre Royal de la Monnaie di Bruxelles con il Ballet du XXe Siècle. A rendere intramontabile quest’opera, al di là delle mirabili interpretazioni offerte dai grandi ballerini nel ruolo solistico, è la singolare unione di danza e musica, tema centrale di tutta la produzione del coreografo. A differenza dei colleghi che hanno cercato una congiunzione tra l’universo coreografico e quello delle arti visive, Béjart ha visto nella musica la sola arte intimamente legata alla danza: “la danse est de la musique visuelle”.

Il suo repertorio è così poliedrico che sembra dispiegare il pensiero musicale attraverso i secoli. Le scelte spaziano da Johann Sebastian Bach a Pierre Boulez, dall’opera lirica alla musica tradizionale indiana, dal jazz alle canzoni dei Queen, senza dimenticare la lunga collaborazione con Pierre Henry, tra i massimi rappresentanti della musica concreta. Singolare la predilezione per Igor Stravinsky. Béjart, portavoce di una concezione dionisiaca della danza quale espressione di vita e forza primordiale, ha trovato una fonte d’ispirazione nel “periodo russo” del compositore. In particolare la sua versione di Le Sacre du printemps (1959), privata della narrazione del sacrificio propiziatorio di una fanciulla, rappresenta un inno alla vita attraverso l’unione fra la donna e l’uomo.

Béjart ha persino affrontato due pilastri della storia della musica, Ludwig van Beethoven e Richard Wagner, sulla base di una comune sensibilità. Sul piano socio-politico il coreografo ha abbracciato il messaggio di unità e fratellanza di Beethoven interpretando coreograficamente la Neuvième Symphonie (1964), un “concerto danzato” in cui la danza si unisce alla musica nella condivisione di un ideale. Sul piano artistico, invece, la ricerca béjartiana di un teatro totale in cui diversi linguaggi si relazionano senza gerarchie ricorda la Gesamtkunstwerk (opera d’arte totale) di Richard Wagner. Esemplare è la creazione del Ring um den Ring, balletto ispirato all’Anello del Nibelungo che non rappresenta una riduzione della Tetralogia wagneriana, ma un approccio metafisico, psicologico e musicale a uno dei più grandi capolavori della musica di tutti i tempi.

Tra tutte le opere di Béjart, il Boléro resta tra le maggiori rappresentazioni di una magistrale unione di danza e musica. In un’atmosfera colma di erotismo, il solista (o in alternativa la solista) danza a piedi nudi su un grande tavolo rotondo circondato da un ensemble di ballerini. Il rapporto tra il piano coreografico e quello musicale è così stretto che i danzatori sembrano danzare non sulla musica bensì la musica stessa, amplificando il contenuto espressivo della composizione con i loro vibranti corpi. Per riprendere le parole di Béjart, la danza del Boléro è musica visiva. Non solo il ballerino solista incarna la melodia e il corpo di ballo il ritmo, ma anche l’intensità musicale è tradotta coreograficamente. Dal pianissimo incipit al maestoso finale, l’inarrestabile crescendo è interpretato da movimenti sempre più ampi che rispecchiano la tensione melodica e ritmica.

Silvia Mozzachiodi

Ballet For Life, il tributo di Maurice Béjart a Freddie Mercury

Freddie Mercury
Freddie Mercury

Un nome, un destino. Così è stato per Freddie Mercury, nome d’arte del leggendario frontman dei Queen. Mercury come Mercurio, il messaggero degli dei. Un nome “divino” che prefigurò la sua immortalità, conquistata con la musica e la magia della sua voce, incredibile in estensione e coloratura. Istrionico e carismatico, Freddie Mercury è stato la rockstar con un innato senso per la teatralità e per la danza, un performer esplosivo e magnetico, padrone della scena e del pubblico, un compendio di espressività e musicalità.

Non a caso amava il balletto e in una famosa intervista rilasciata a Tony Stewart nel 1977 dichiarò: “I’m bringing ballet to masses”. Nel 1979 partecipò con il Royal Ballet ad uno spettacolo di beneficenza al London Coliseum e nel 1984 incluse nel video musicale di I Want To Break Free una breve sequenza ispirata a L’Apres-Midi d’un Faune del leggendario ballerino e coreografo Vaslav Nijinsky.

A destra Freddie Mercury nel video musicale di I Want To Break Free; a sinistra Vaslav Nijinsky in L’Apres-Midi d’un Faune.

Oggi ricorre il trentesimo anniversario della sua morte. Perché non ricordarlo con Ballet For Life di Maurice Béjart su musica dei Queen, di Wolfgang Amadeus Mozart e con i costumi di Gianni Versace? Creato nel 1996, il balletto è un sentito tributo a Freddie Mercury e a Jorge Donn, storico ballerino della compagnia di Béjart. Due artisti accomunati da uno stesso destino, fatto di quattro lettere: Aids, la malattia che li portò via a soli 45 anni. È un balletto commemorativo, nato sull’onda del dolore, che vuole ricordare, unire e sensibilizzare. “Why is love making war on us?” è la domanda rivolta al pubblico da un danzatore, un interrogativo che racchiude il dramma di una malattia dove l’amore non porta vita ma genera morte.

Ballet For Life è un esempio di teatro totale, uno spettacolo in cui diversi linguaggi – danza, musica, recitazione – si relazionano senza gerarchie. La coreografia, una fusione tra la tecnica accademica e il vocabolario della danza moderna, dialoga perfettamente con la musica dei Queen. I Was Born To Love You, Radio Ga Ga, Bohemian Rhapsody e I Want To Break Free sono alcune delle celebri canzoni della band che accompagnano la grande forza espressiva dei danzatori.

Strutturato in una sequenza di assoli, passi a due e scene d’insieme, il balletto intreccia la vita alla morte, un binomio che si riflette anche nel bianco e nero dei costumi e nella contrapposizione tra la musica dei Queen e quella di Mozart. Espliciti sono i riferimenti visivi a Freddie Mercury, dai costumi ispirati a quelli indossati nei concerti – il chiodo in pelle e il mantello con la corona – alle immagini dei video musicali These Are The Days Of Our Lives e I’m Going Slightly Mad, trasmessi su dei monitor ai piedi di un danzatore con indosso delle grandi ali. Altrettanto significativo il ricordo di Jorge Donn, mostrato su un megaschermo mentre danza uno dei suoi cavalli di battaglia, Nijinski, clown de dieu di Béjart.

Le allusioni alla malattia sono ricorrenti: due barelle d’ospedale sulle quali danza una giovane coppia; le gigantografie delle radiografie di uno scheletro umano; l’uomo in nero, allegoria della morte. Anche se la malattia è una presenza impregnante e la morte aleggia continuamente, Ballet For Life rappresenta il trionfo della vita, un’esplosione di vitalità e speranza che culmina nell’apoteosi finale sulle note di The Show Must Go On. Lo spettacolo deve andare avanti, così come la vita. Ma il sipario su Freddie Mercury non calerà mai.

Silvia Mozzachiodi