L’Heure Exquise di Maurice Béjart

In scena al Teatro Regio di Parma sabato 4 marzo, L’Heure Exquise è un gioiello di danza e di teatro, incastonati splendidamente dalla singolare inventiva di Maurice Béjart. Creato appositamente per Carla Fracci e Micha van Hoecke nel 1998, per anni è caduto nell’oblio, probabilmente per la difficoltà di misurarsi con la spiccata dimensione teatrale confezionata ad hoc, come un vestito, per il duo Fracci e van Hoecke. Nel 2021 L’Heure Exquise ha rivisto finalmente la luce nell’interpretazione di Alessandra Ferri che lo ha scelto per celebrare i 40 anni della sua carriera, iniziata al Royal Ballet nel 1981, e che continua a presentare sull’onda di un successo inarrestabile. Specchio di una visione della danza quale espressione di un teatro totale, la pièce mette in luce l’autenticità interpretativa e la sensibilità teatrale di Alessandra Ferri, qualità in comune con Carla Fracci. Generazioni diverse ma entrambe danzatrici attrici, mirabili nel dare voce ad un’arte silenziosa attraverso la poesia del movimento.

L’Heure Exquise si ispira a Oh, les beaux jours (Giorni felici) di Samuel Beckett, un dramma considerato tra i momenti più alti della produzione del drammaturgo e della letteratura teatrale della seconda metà del Novecento. Come suggerisce il sottotitolo, Variazioni su un tema di Samuel Beckett, Maurice Béjart non realizza un adattamento coreografico vero e proprio, ma una riscrittura coreografica, senza tuttavia smarrire lo spirito dell’opera. Winnie, la protagonista del testo di Beckett, diviene una ballerina “âgée” che rivive con malinconia i giorni felici della sua vita. Il marito Willie, interpretato da Thomas Whitehead (Principal Character Artist del Royal Ballet), diventa invece un suo ex partner. Altrettanto geniale è la reinvenzione della famosa immagine scenica della collina di sabbia, che sommerge Winnie, in una rosea duna di 3000 scarpette da punta.

La felicità della protagonista, chiave del dramma teatrale, si lega qui alla carriera della ballerina, raccontata con frammenti di vita, sprazzi di memoria, ricordi di una professione che richiede forza e disciplina. Non mancano nella coreografia citazioni tratte dai grandi balletti, Romeo e Giulietta per Alessandra Ferri (Giselle per Carla Fracci), un ruolo che ha interpretato magistralmente. Sulle note di Anton Webern, Gustav Mahler, Wolfgang Amadeus Mozart e Franz  Lehár, L’Heure Exquise è il ritratto di un’arte che coniuga passione e lavoro, un atto d’amore per il mondo della danza.

Silvia Mozzachiodi

La Dame aux camélias di John Neumeier

Foto di Kiran West

La Dame aux camélias di John Neumeierin scena con l’Hamburg Ballet al Teatro La Fenice di Venezia dal 18 al 22 gennaio – è l’adattamento coreografico dell’omonimo romanzo di Alexandre Dumas figlio. Dal 1848, anno della prima pubblicazione, la storia d’amore tra la cortigiana Marguerite Gautier e il giovane Armand Duval ha ispirato celebri trasposizioni: La Traviata di Giuseppe Verdi (1853), il film Camille di George Cukor con Greta Garbo e Robert Taylor (1936), il balletto Marguerite and Armand di Frederick Ashton con Margot Fonteyn e Rudolf Nureyev (1963). La versione di John Neumeier, creata su musica di Frédéric Chopin per lo Stuttgart Ballet (1978), è una pietra miliare per la maestria coreografica, la sapienza drammaturgica, la sensibilità al tempo stesso teatrale e cinematografica.

Strutturato in un prologo e tre atti, il balletto riprende la narrazione retrospettiva del romanzo. Il prologo si apre nell’appartamento della defunta Marguerite dove un viavai di persone si aggira curiosando tra gli arredi in vista dell’imminente asta. Il silenzio della scena, interrotto soltanto dalla fugace improvvisazione al pianoforte di un possibile acquirente, enfatizza la qualità teatrale del prologo, la cui funzione è di avviare il racconto e di presentare al pubblico i personaggi della storia: Nanina, la fida domestica raccolta nel proprio dolore; il Duca e Monsieur Duval, entrambi turbati anche se per ragioni diverse; Prudence Duvernoy e Olympia, rappresentanti il mondo del vizio insieme al Conte N.

Ad entrare per ultimo, in uno stato di profondo turbamento emotivo, è il giovane Armand Duval che, sopraffatto dai ricordi sussurrati da ogni angolo dell’abitazione, cade a terra privo di sensi. Questo istante, magistralmente reso dal coreografo, è il primo ad essere trattato in modo squisitamente cinematografico, tanto da ricordare la tecnica della sovrimpressione: mentre Armand si copre il volto schiacciato dal peso dei ricordi, Marguerite appare in fondo alla scena, avvolta da una fulgida luce che rappresenta il bagliore della memoria.

Con l’attacco dell’orchestra, che durante l’intero balletto si alterna al pianoforte solista presente sulla scena, il giovane Armand decide di raccontare al padre la sua storia davanti al cartello “Vendita”. Il dialogo avvia i flashback, ognuno dei quali rappresenta diverse prospettive narrative e nasce da un particolare oggetto appartenuto a Marguerite: l’abito viola, indossato al Théâtre des Variétés durante il primo incontro con Armand; il cappello di paglia, che allude sia alla scelta di amare Armand pubblicamente, sia alla promessa fatta a Monsieur Duval di chiudere la relazione con il ragazzo; infine il diario, con gli ultimi pensieri di Marguerite. La perfetta resa di una struttura così complessa è data sia dall’uso creativo delle luci di François Menou, che richiamano l’effetto cinematografico della dissolvenza, sia dallo scenario di Jürgen Rose, la cui essenzialità consente di passare con fluidità dal presente al passato e viceversa.

La ricercatezza del balletto traspare inoltre nello sviluppo drammaturgico e coreografico di un elemento molto importante all’interno del romanzo: il libro Manon Lescaut di Prévost (1731) che Armand regala a Marguerite e che attiva un confronto tra i personaggi di Dumas e quelli di Prévost, accomunati da un simile destino. John Neumeier, ricorrendo ad un espediente metateatrale, trasforma il libro in un balletto (all’interno di un balletto), la cui rappresentazione avviene al Théâtre des Variétés durante il primo incontro tra Marguerite e Armand. Da quel momento i personaggi di Manon e De Grieux, più volte presenti nel corso dei tre atti, diventano le proiezioni dei pensieri e dei timori di Marguerite e Armand.

Al di là della bellezza del linguaggio coreografico, John Neumeier restituisce lo spessore psicologico dei personaggi attraverso una minuziosa cura dei dettagli che assicurano alla danza una verità emozionale e sentimentale: Marguerite che si guarda allo specchio e, vedendo sul suo volto l’ombra della morte, scoppia in lacrime; il Duca che interrompe i festeggiamenti colpendo con violenza i tasti del pianoforte; Prudence che raccoglie furtivamente la collana di Marguerite e la nasconde nel corpetto. Al coreografo, tra i più autorevoli rappresentanti della forza narrativa del balletto contemporaneo, sarà consegnato mercoledì 18 gennaio il premio “Una Vita nella Musica 2023” nelle Sale Apollinee del Teatro La Fenice.

Silvia Mozzachiodi

The Winter’s Tale di Christopher Wheeldon

The Winter's Tale di Christopher Wheeldon

Su Royal Opera House Stream fino al 27 febbraio

William Shakespeare è l’autore che, più di ogni altro, ha ispirato e continua ad ispirare l’immaginazione e la creatività dei coreografi. Il mondo del balletto, in particolare, pullula di soggetti shakespeariani: dalle tragedie come Romeo e Giulietta, senza dubbio quella con il maggior numero di trasposizioni coreografiche, alle commedie come Sogno di una notte di mezza estate.

Nel 2014 il coreografo inglese Christopher Wheeldon, Artistic Associate del Royal Ballet, ha creato il primo adattamento coreografico della penultima opera teatrale di William Shakespeare: The Winter’s Tale (1610 – 1611), un dramma romanzesco che ben si presta ad un approccio coreografico non soltanto per la presenza al suo interno di espliciti riferimenti alla danza ma soprattutto per la ricchezza del testo, dall’universalità dei temi affrontati alla modernità dei personaggi. Di fronte alla grandezza dell’impresa, ossia catturare la poesia e l’essenza dell’opera shakespeariana, Christopher Wheeldon ha chiamato il compositore Joby Talbot e lo scenografo Bob Crowley, suoi collaboratori per il balletto Alice’s Adventures in Wonderland (2011).

Operando all’interno di quella tradizione del balletto dove soggetto, danza e musica concorrono all’unità dell’opera, Christopher Wheeldon e Joby Talbot hanno per prima cosa redatto il libretto, di fondamentale importanza nell’adattamento di un’opera teatrale così complessa. The Winter’s Tale è la storia (in sintesi) di Leonte, re di Sicilia che, accecato da un’improvvisa e infondata gelosia, accusa la moglie Ermione, in dolce attesa, di avere una relazione con l’amico d’infanzia Polissene, re di Boemia. Temendo che la moglie porti in grembo il frutto di un adulterio, Leonte cerca prima di uccidere Polissene, poi fa condurre Ermione in prigione, dove nasce la piccola Perdita che viene ripudiata e abbandonata in Boemia. Dopo aver causato con la sua gelosia la morte del figlio primogenito Mamilio, stroncato dal dolore, e quella (apparente) di Ermione, Leonte ritorna alla realtà, consumato dal senso di colpa. Sedici anni dopo Perdita, salvata e cresciuta da un pastore nella luminosa Boemia, ha una relazione con Florizel, il figlio di Polissene. Il loro amore, dopo varie vicissitudini, porterà un lieto fine.

Strutturando il balletto in un prologo e tre atti, Christopher Wheeldon e Joby Talbot hanno dimostrato una particolare abilità drammaturgica nel saper sintetizzare la storia shakespeariana, nel rendere efficacemente lo svolgimento dell’azione e nel tratteggiare la psicologia dei personaggi principali. L’adattamento coreografico di un testo è sempre un’operazione complessa che comporta un processo di traduzione dalla pagina scritta alla danza, dalla parola al movimento. Come rappresentare gli antefatti della storia? Un esempio la profonda amicizia tra Leonte e Polissene, così narrata da Camillo, barone di Sicilia, all’inizio del dramma:

Sono cresciuti insieme da bambini
e s’è da allora radicata in loro
una tale affettuosa fratellanza,
che non può che ramificare ancora.

Come dire al pubblico il nome dei personaggi e le loro reciproche relazioni? Per poter restituire tutte queste informazioni, coreografo e compositore hanno adottato alcune soluzioni drammaturgiche e visuali per facilitare la comprensione del balletto. L’amicizia tra Leonte e Polissene, ad esempio, è mostrata visivamente nel prologo impiegando due bambini, mentre il legame sanguigno tra Leonte, Ermione e Perdita è rappresentato da uno smeraldo – assente nell’opera di Shakespeare – regalato alla regina dal re e in seguito lasciato nella cesta della neonata.

Una volta definito il libretto, Joby Talbot ha iniziato a scrivere la musica. Pur avendo composto più volte per la danza e avendo già collaborato con Christopher Wheeldon, la principale sfida è stata la funzione drammaturgica della musica, ossia la sua capacità di raccontare la storia, di descrivere le atmosfere, di esprimere gli stati d’animo dei personaggi.

Completata la partitura, Christopher Wheeldon ha iniziato a creare il balletto lasciandosi ispirare sia dalla musica che dal lavoro con i danzatori. La coreografia, attraverso una dettagliata cura dei gesti, emotivamente risonanti anche nei più piccoli dettagli, dà forma ai pensieri e ai sentimenti dei personaggi, in particolare alla folle gelosia di Leonte, il motore del balletto. Il coreografo decide di enfatizzare il primo e insano moto di gelosia creando una scena di forte impatto visivo. Durante le danze di corte Ermione prende la mano del marito e quella di Polissene per far sentire ad entrambi la bambina che scalcia. Improvvisamente l’azione si ferma e scende l’oscurità. Leonte, folgorato dal sospetto di un adulterio, ritrae la mano articolando le dita con turbamento. È un gesto emblematico, espressione di una gelosia che inizia a serpeggiare – proprio come la linea musicale del flauto – nel corpo di Leonte fino a impadronirsi della mente. I suoi movimenti, diventati distorti e stridenti, ritraggono perfettamente le parole di Shakespeare come il battito accelerato (“tremor cordis”) e il progressivo annebbiamento mentale (“sento che mi s’intorbida il cervello”).

The Winter’s Tale con Lauren Cuthbertson e Edward-Watson © ROH -Johan Persson 2014

Altrettanto avvincente è la successiva scena che dimostra quanto la gelosia di Leonte sia totalmente immotivata. Ermione e Polissene danzano di fronte a quattro statue, ignari di esseri osservati da Leonte. Quando la scena è illuminata, i loro movimenti rivelano un’amicizia sincera e innocente. Quando invece cala l’oscurità e Leonte è l’unico sotto i riflettori, i movimenti mostrano la passione che soltanto il re vede. Questa alternanza di luce e oscurità aiuta così a distinguere la realtà dall’immaginazione.

Un’altra peculiarità del balletto è il dualismo a livello coreografico, musicale e visivo tra il primo atto in Sicilia, furiosamente tragico e cupo, e il secondo in Boemia, festoso e luminoso. Qui il passo a due tra Perdita e Florizel, preceduto da danze piene di vita, esprime con gioia la spensieratezza e la freschezza dell’innamoramento giovanile. L’ultimo atto, passando attraverso il rimorso e il rimpianto e dopo il “miracoloso” ritorno alla vita di Ermione, finirà in una sorta di redenzione poetica.

Silvia Mozzachiodi