Il valore di un corpo segnato dal tempo

Un jour nouveau di Rachid Ouramdane © Patrick Cockpit

La Fondazione Nazionale della Danza /Aterballetto, da giugno scorso Centro Coreografico Nazionale per decreto del Direttore Generale dello Spettacolo, spicca nel panorama (inter)nazionale per una visione progettuale e sperimentale della danza, esplorata in termini di esperienza e di percezione, in una dimensione interculturale e interdisciplinare. Oggi possiamo dire anche intergenerazionale perché il nuovo progetto Over Dance, co-finanziato dal Programma Europa Creativa dell’Unione Europea e sostenuto dalla Fondazione Ravasi Garzanti di Milano, porta alla luce un tema marginalmente sondato nella pratica coreografica: la trasformazione del corpo con il passare degli anni.

Il progetto comprende le nuove creazioni di due rinomati coreografi per danzatori e non danzatori tra i 65 e i 79 anni: Birthday party di Angelin Preljocaj e Un jour nouveau di Rachid Ouramdane, in prima mondiale dal 15 al 23 febbraio a Chaillot – Théâtre national de la Danse di Parigi. Birthday party, definito da Preljocaj “un viaggio negli interstizi che segnano i tempi della vita umana”, si interroga sull’età del corpo e sul pensiero che esso genera. Un jour nouveau affronta invece l’invecchiamento da diversi punti di vista: quello del corpo, scegliendo due ballerini professionisti in pensione; quello del movimento, collocando il pezzo nel mondo del music-hall; quello romantico del rapporto di coppia.

Over Dance, nominato al prestigioso Fedora – Van Cleef & Arpels Dance Prize 2022, presenta un radicale cambiamento di prospettiva nella percezione collettiva della danza, abitualmente costellata di corpi giovani e forti. La Fondazione Nazionale della Danza/Aterballetto porta all’attenzione del pubblico, e quindi di una società che tende a demonizzare l’invecchiamento fisico, il valore di un corpo segnato dal tempo, l’eco di un movimento che ha interiorizzato esperienze, pensieri, emozioni. Sono nuove forme di bellezza e di virtuosismo, dal potenziale artistico e sociale immenso e ancora largamente inespresso. Da non perdere la data italiana del 12 marzo a Bologna.

Silvia Mozzachiodi

An Ideal City: la danza come arte pubblica

Elena Kekkou in MicroDanze / Active Motivation – Museo dell’Acropoli di Atene. Foto di Valeria Isaeva

Dal 15 al 17 luglio si conclude a Reggio Emilia, nella cornice dei Chiostri di San Pietro, An Ideal City, progetto ideato e coordinato dalla Fondazione Nazionale della Danza /Aterballetto in partnership con Les Halles de Schaerbeek di Bruxelles e il Balletto dell’Opera Nazionale Greca. Si tratta di un’esposizione di quindici MicroDanze, brevi creazioni realizzate da rinomati coreografi del panorama internazionale come Angelin Preljocaj, Diego Tortelli, Roberto Zappalà e Norge Cedeño Raffo. Focus della ricerca il concetto di micro, esplorato coreograficamente attraverso uno spazio-tempo limitato ma al tempo stesso infinito nelle sue variabili interpretative.

Il progetto, cofinanziato da Europa Creativa, è stato concepito come un viaggio che, nell’arco di ventidue mesi, ha coinvolto tre città – Atene, Bruxelles e Reggio Emilia – in un esperimento socioculturale finalizzato a promuovere la danza come arte pubblica. Per conseguire questo obiettivo, le MicroDanze sono state eseguite in spazi performativi non convenzionali: centri storici, musei, quartieri periferici, aree industriali, spazi privati. L’interazione con un luogo extra-teatrale ha attivato inevitabilmente un processo di ibridazione culturale che ha generato un dialogo interdisciplinare. Esemplare, in questo senso, la MicroDanza Eppur si muove di Francesca Lattuada che, eseguita nel Museo dell’Acropoli di Atene, ha realizzato un sofisticato rimando tra il corpo del danzatore, posto su un barile-piedistallo, e l’antica scultura greca.

L’ampliamento delle modalità di fruizione della danza ha comportato un processo di reenactment, ossia una trasposizione delle versioni originali delle MicroDanze in spazi urbani che sono stati reinterpretati e rivissuti in termini di esperienza e percezione. Il reenactment ha per obiettivo la ricerca di una relazione diretta e immediata con il pubblico mediante l’abolizione della visione prospettica. Danzatori e spettatori, non più separati dalla quarta parete del teatro, condividono il medesimo spazio e tempo delle performance, moltiplicando i punti di vista della rappresentazione sia per chi guarda sia per chi è guardato. Il progetto avvia così un modello inclusivo che chiama in causa il pubblico non come un destinatario passivo ma come un visitatore attivo, libero di muoversi o di soffermare il proprio sguardo.

An Ideal City rispecchia a pieno titolo la vocazione sperimentale della Fondazione Nazionale della Danza /Aterballetto che, dallo scorso giugno, è diventata per decreto ministeriale Centro Coreografico Nazionale. La danza, uscendo dai confini teatrali ed entrando nella vita dei cittadini, non solo ripristina la continuità tra arte ed esperienza quotidiana ma crea un nuovo spazio di incontro e condivisione nel segno di una città ideale.

Silvia Mozzachiodi

Stabat Mater – Danzare oltre i confini

Aterballetto in Stabat Mater

Il docufilm Stabat Mater – Danzare oltre i confini, disponibile su RaiPlay, è un viaggio interculturale e interdisciplinare che racconta la prima esperienza artistica tra l’Aterballetto, compagnia italiana dal respiro internazionale, e il coreografo cubano Norge Cedeño Raffo, per dieci anni primo ballerino della Danza Contemporánea de Cuba, oggi direttore artistico della compagnia OtroLado. Diretto da Alessandro D’Onghia, il documentario segue la creazione artistica di Stabat Mater, coreografia per tre danzatori – Samuel Daniele Ardillo, Martina Forioso e Serena Vinzio – sull’omonima musica del compositore estone Arvo Pärt. Una scommessa vinta dalla Fondazione Nazionale della Danza / Aterballetto che in piena pandemia ha dato vita ad un incontro tra la cultura italiana e quella cubana.

Un’immersione nell’atto creativo, seguito nella sua crescita dal 29 gennaio 2021, primo giorno di lavoro del coreografo con i tre danzatori, al 6 marzo 2021. In linea con la concezione di Norge Cedeño Raffo che considera la danza come un dialogo, la coreografia non è pensata aprioristicamente, ma è il risultato di un intenso lavoro che va interpretato in termini di puro processo, sviluppato nell’arco delle prove con impegno e disciplina. Punto di partenza per avviare il “dialogo” è l’acquisizione da parte dei danzatori di un nuovo vocabolario di movimento, una fusione tra lo stile contemporaneo di influenza americana e quello della tradizione cubana.

Il film non offre soltanto una panoramica sul percorso evolutivo della creazione, ma è arricchito dagli interventi del coreografo, dell’assistente Thais Suàrez Fernàndez, dei danzatori, di Sveva Berti (Direttrice di compagnia dell’Aterbaletto) e di Gigi Cristoforetti (Direttore Generale della Fondazione Nazionale della Danza / Aterballetto). Spesso sono riflessioni metalinguistiche, ossia considerazioni sul senso stesso della danza, sulla pluralità delle sue funzioni. Uno spunto molto interessante, offerto da Norge Cedeño Raffo, è il rapporto tra il coreografo e il danzatore che, dopo il processo di trasmissione del materiale coreografico, culmina in un atto di donazione:

Questo non è più il mio spettacolo: è completamente vostro. Perché non si tratta più di danza: si tratta di qualcosa di personale. Un’idea potente da portare vicino alla gente.

Norge Cedeño Raffo

Il film si conclude con la messa in scena di Stabat Mater nella splendida cornice del Teatro Asioli di Correggio. La scena, una foresta incendiata che rappresenta uno spazio senza tempo, porta la firma di Fabiana Piccioli. Un’atmosfera suggestiva, ottenuta impiegando un disegno luci chiaroscurale, dei particolari tappeti dipinti e del materiale di scarto in un’ottica di upcycling. Danza e musica sono in dialogo sul piano strutturale – tre danzatori, tre cantanti (soprano, contralto, tenore) e tre musicisti (violino, viola, violoncello) – e su quello emotivo. L’intensità del componimento musicale, pervaso da un senso si sacralità, si riflette nell’espressività dei movimenti, dotati di fluidità e naturalezza. La sensazione è che il palcoscenico sia avvolto da un’aura poetica.

Silvia Mozzachiodi