“Revelations” di Alvin Ailey: quando la danza è depositaria di una memoria storica

Revelations di Alvin Ailey. Alvin Ailey American Dance Theater. Credit Photo: Paul Kolnik
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Nel pieno del movimento per i diritti civili degli afroamericani, il ventinovenne Alvin Ailey, tra i massimi rappresentanti della black dance, rappresentò la propria comunità con un lavoro divenuto un manifesto della sua produzione coreografica e un caposaldo della cultura afroamericana: Revelations (1960). Un titolo più simbolico non poteva essere scelto perché, in un panorama teatrale adombrato dalle discriminazioni razziali, dare voce all’esperienza culturale e artistica degli afroamericani fu una vera e propria rivelazione, oltre che un atto di coraggio. La danza diventò una forma di rappresentazione culturale e uno strumento di integrazione sociale, obiettivi perseguiti dal coreografo fin dalla fondazione dell’Alvin Ailey American Dance Theater nel 1958 e premiati tardivamente – 25 anni dopo la sua morte – con il conferimento della Presidential Medal of Freedom nel 2014.

Revelations, coreografato su vari generi della musica afroamericana come spiritual, gospel e blues, racconta il cammino del popolo afroamericano dalla schiavitù alla libertà. La prima parte, intitolata Pilgrim of Sorrow, rappresenta il legame dell’uomo alla terra e la sua speranza di sfuggire alla schiavitù negli Stati del Sud. La seconda sezione, Take Me to the Water, simboleggia l’inizio di una nuova vita con il battesimo di una giovane coppia sulle rive di un fiume, evocato da metri di seta blu che ondeggiano sul palcoscenico. L’ultima parte, Move, Members, Move, è una gioiosa danza corale che rappresenta il momento della gioia e della celebrazione durante la funzione in una chiesa battista.

La forza vibrante del balletto risiede nella bellezza e nella musicalità della danza ma soprattutto nell’autenticità emozionale che è autobiografica. Nato nel violento Texas del 1931, Alvin Ailey ha vissuto la segregazione razziale, ha visto il Ku-Klux Klan, ha lavorato con la madre nei campi di cotone fin dalla tenera età. La sua storia rivive in ogni singolo movimento della coreografia quale testimonianza di un dolore, espressione di forza e di speranza. Soprattutto nella prima sezione, i danzatori cercano di liberarsi da un’opprimente forza – la schiavitù – allungando le mani verso l’alto o stendendo le braccia come degli uccelli pronti a spiccare il volo.

Se alla prima rappresentazione Revelations fu un atto politico di affermazione dell’identità afroamericana, oggi è uno dei lavori più rappresentativi della cultura americana:

Every American owes it to him or herself to see the Ailey [company] perform Revelations. It is an American phenomenon. I’ve probably seen it countless times and every time it’s magical and spiritual and hopeful – everything that we want ourselves to be and hope that our country will be.

OPRAH WINFREY

Revelations è depositario di una memoria, da custodire ancor più nell’attuale frangente storico, che vede riaffiorare pericolosi sentimenti nostalgici, per ispirare nelle nuove generazioni i valori dell’uguaglianza e della giustizia, del dialogo e dell’unione. Per estensione, il lavoro di Alvin Ailey fa appello a valori universali.

Silvia Mozzachiodi

r-Evolution, Dream di Hope Boykin: un omaggio a Martin Luther King

r-Evolution, Dream di Hope Boykin
Alvin Ailey American Dance Theater in r-Evolution, Dream di Hope Boykin. Photo di Paul Kolnik.
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Disponibile fino al 13 febbraio sul canale YouTube dell’Alvin Ailey American Dance Theater, r-Evolution, Dream di Hope Boykin è un omaggio alla memoria di Martin Luther King Jr., il leader del movimento per i diritti civili degli afroamericani negli anni Cinquanta e Sessanta. Coreografato su musica di Ali Jackson e presentato al New York City Center nel 2016, lo spettacolo è in linea con la storia dell’Alvin Ailey American Dance Theater. La compagnia fu fondata dal danzatore e coreografo Alvin Ailey, tra i massimi esponenti della black dance, proprio nel pieno delle battaglie per il riconoscimento dei diritti civili. Era il 1958 – tre anni dopo il boicottaggio dei mezzi pubblici da parte della comunità nera per l’arresto di Rosa Parks – e la fondazione dell’Alvin Ailey American Dance Theater diede voce all’esperienza artistica degli afroamericani contribuendo così alla loro graduale integrazione anche nel mondo della danza.

Il titolo dell’opera, rEvolution, Dream, ha in sé una grande forza evocativa. La prima parola, che significa al contempo rivoluzione ed evoluzione, mette in luce la portata della lotta intrapresa da Martin Luther King: cambiare radicalmente la società, abbattendo le barriere razziste innalzate dalle legislazioni segregazioniste, senza mai ricorrere alla violenza ma opponendo “le armi dell’amore”. La seconda parola, Dream, rievoca il celebre discorso “I have a dream” pronunciato da Martin Luther King al termine della marcia su Washington (1963). King prese un ideale tipicamente americano, il sogno, e lo reinterpretò in un modo del tutto nuovo e inclusivo: un sogno di uguaglianza e di giustizia, di pace e di libertà.

In una coreografia dedicata ad un simbolo dei diritti civili ma anche ad un formidabile oratore, le parole hanno rivestito un ruolo fondamentale già durante il processo creativo. A guidare Hope Boykin nella costruzione dello spettacolo, dopo la visita al National Center for Civil and Human Rights di Atlanta, sono stati i discorsi di Martin Luther King. La coreografa ha creato una sapiente sintesi tra il movimento e le parole introducendo nello spettacolo una serie di testi che sono stati recitati dall’attore Leslie Odom Jr., vincitore del Tony Award per il musical Hamilton (2016). Alcuni testi sono stati scritti dalla stessa coreografa, traendo ispirazione dalle parole di King; altri invece sono di scrittori che King ammirava e citava nei suoi discorsi pubblici. Tra questi William Cowper, Douglas Malloch e William Shakespeare.

Al di là di questa mirabile fusione di danza e letteratura, Hope Boykin ha saputo rievocare le parole di Martin Luther King anche senza l’esplicito ricorso alla parola. La prima scena dello spettacolo, dove un uomo in camicia e cravatta emerge dall’oscurità per poi avanzare verso il pubblico lungo un fascio di luce, non può non ricordare un famoso passaggio del discorso “I have a dream”:

Adesso è il momento di risollevarci dalla valle buia e desolata della segregazione fino al sentiero soleggiato della giustizia razziale.

Martin Luther King

A seguire entrano in scena quattro gruppi di danzatori, ciascuno contraddistinto da un unico colore: nero, bianco, verde e viola. La divisione cromatica mostra con immediatezza una rigida stratificazione sociale: da un lato chi lavora e dall’altro chi paga gli altri per lavorare. I gruppi in bianco e nero simboleggiano la classe operaria ed entrano in scena incurvati e a testa china. I gruppi in verde e in viola, invece, rappresentano coloro che hanno ottenuto la ricchezza o che l’hanno sempre avuta. I movimenti dei primi, correndo dietro al denaro, sono frenetici mentre quelli dei danzatori in viola, da sempre adagiati nel loro lusso, sono estremamente lenti.

A riunire i vari gruppi nella scena finale sarà l’uomo in camicia e cravatta. La loro danza simboleggia un mondo libero da discriminazioni, realizza quel sogno di uguaglianza, giustizia e libertà per il quale Martin Luther King ha dedicato e sacrificato la propria vita. Oggi, a cinquantaquattro anni dalla sua morte, r-Evolution, Dream porta avanti il suo messaggio: considerare gli uomini per il loro valore e non per il colore della pelle.

Silvia Mozzachiodi