Rudolf Nureyev, (pre)destinato all’immortalità

Foto: Teatro alla Scala di Milano.

A trent’anni dalla scomparsa Rudolf Nureyev continua a vivere nel ricordo indelebile di chi l’ha visto danzare e nello stupore adombrato di amarezza di chi può ammirarlo soltanto in video; nella compiuta valorizzazione della danza maschile e nell’immancabile rappresentazione dei suoi balletti, coronamento del suo ultimo sogno: “As long as my ballets are danced, I will live”. In realtà Rudolf Nureyev continua a esercitare il suo magnetismo anche al di fuori dei confini teatrali, ispirando nel corso degli anni un gran numero di celebrazioni: il film Nureyev – The White Crow di Ralph Fiennes (in onda questa sera su Rai5), il romanzo Dancer di Colum McCann, l’esposizione virtuale dell’Opéra di Parigi, senza contare il lungo elenco di biografie e documentari. E così il suo nome, un tempo cancellato da tutti i libri di storia della danza dell’Unione Sovietica per aver scelto la libertà, è scritto – anzi scolpito – nella storia.

Con Rudolf Nureyev l’arte e la vita s’intrecciano in modo così inestricabile che i vari capitoli della sua esistenza sono ascrivibili a vari generi letterari. La nascita, avvenuta su un treno a vapore in viaggio per Vladivostok, circondato dai boschi innevati e cullato nei suoi primi respiri dal dondolio del vagone, ha un sapore fiabesco. L’ingresso nella prestigiosa Accademia Vaganova e poi nella compagnia del Kirov costituisce il primo importante riscatto dall’estrema povertà dell’infanzia come in un romanzo di formazione. Il grande salto verso la libertà, vale a dire la richiesta al governo francese di asilo politico che trasforma l’aeroporto parigino “Le Bourget” nel centro di un intrigo internazionale, si trova all’incrocio tra un romanzo d’avventura e uno di spionaggio. L’ultimo atto della sua vita ha l’ardore di un poema cavalleresco: è la coraggiosa impresa di un uomo che, al pari di un cavaliere, serve la propria arte fino all’ultimo spiraglio di energia, sfidando una cagionevole salute per coreografare il suo ultimo balletto, La Bayadère all’Opéra di Parigi.

Se la danza è stata la ragione della sua vita, la passione è stato il motore che ha reso ogni suo passo, danzato e non, irripetibile. Unica la sua danza, unico il suo temperamento, unico il suo magistero, a partire dalla coraggiosa rivendicazione della libertà dell’arte che non conosce confini, nazionalità e ideologie. Certo nel suo cuore di essere predestinato alla danza, Nureyev è oggi senza dubbio destinato all’immortalità.

Silvia Mozzachiodi

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