

Questo mese ricorrono gli anniversari di due pilastri della cultura della danza italiana: 10 anni dalla morte di Vittoria Ottolenghi (oggi) e 100 dalla nascita di Alberto Testa (23 dicembre). Testimoni e al tempo stesso protagonisti di un’era meravigliosa, raccontata con intelligenza e sensibilità, con dedizione profonda e appassionata, hanno largamente contribuito alla diffusione di un’arte troppo a lungo relegata ai margini del sistema culturale perché considerata minore ed elitaria. Armati di una semplice penna, quanto mai eloquente nelle loro mani, e di una solida e raffinata cultura, Ottolenghi e Testa sono stati i paladini della cultura della danza, difesa e sostenuta per più di mezzo secolo con fervore quasi cavalleresco, liberata dalla pressoché totale invisibilità mediatica. Usando gli strumenti della loro epoca, hanno acceso i riflettori sul mondo della danza: come critici, scrivendo su autorevoli quotidiani, settimanali e riviste di settore; come saggisti, pubblicando libri che rappresentano oggi un imprescindibile punto di riferimento; ma soprattutto come operatori culturali, promuovendone la legittimazione artistica e il radicamento socioculturale. Il lungo lavoro di Vittoria Ottolenghi in Rai, culminato con l’ideazione e la conduzione del programma televisivo Maratona d’estate, riflette il nobile e lungimirante intento della giornalista: intercettare e fidelizzare una larghissima platea portando la danza direttamente nelle case degli italiani per più di vent’anni. Il vulcanico Alberto Testa, tra l’altro danzatore, coreografo (Il Gattopardo di Luchino Visconti e Romeo e Giulietta di Franco Zeffirelli per esempio) e docente di storia della danza, ha promosso una pluralità di iniziative, dalla fondazione del Premio Positano “Léonide Massine” all’organizzazione di prestigiose mostre. Le loro strade si sono intrecciate a lungo per la Maratona di Danza del Festival dei Due Mondi di Spoleto, una manifestazione che, grazie a loro, ha offerto un ritratto stilisticamente e culturalmente variegato dell’arte di Tersicore.
Silvia Mozzachiodi