La danza di Antonio Canova: grazia e bellezza

Antonio Canova, Cinque danzatrici che si tengono per mano
Antonio Canova, Cinque danzatrici che si tengono per mano, 1798/1799

Quest’anno ricorre il bicentenario della morte di Antonio Canova (Possagno 1 novembre 1757 – Venezia 13 ottobre 1822), scultore della bellezza ideale. Tra i massimi interpreti del Neoclassicismo, Antonio Canova è stato l’artista che ha trovato nella rappresentazione della danza la più felice espressione della grazia e della bellezza. Le sue opere, anche quelle che non hanno per soggetto l’arte di Tersicore, trasferiscono nella scultura l’essenza stessa della danza, ossia il movimento, restituito dalla tensione muscolare dei corpi (Ercole e Lica, 1795 – 1815), dalle pieghe fluttuanti delle tuniche (Ebe, 1796 – 1817) o da basamenti semoventi che consentono alle sculture di girare intorno al proprio asse. Assiduo frequentatore del mondo del teatro, Canova nutre un sincero interesse sia per la danza teatrale, che in quegli anni vive un profondo rinnovamento, sia per quella popolare, come sottolinea Antonio D’Este nelle “Memorie di Antonio Canova” (1864):

Sentendo poi una grande propensione al ballo, ne avrebbe appreso i principj, se l’amore per l’arte non l’avesse trattenuto. Ricordo che talvolta andavamo passeggiando nei giorni festivi nelle Regioni dei Monti e di Trastevere a veder ballare quelle fanciulle della plebe; ballo che nella innocenza di quelle danzatrici molto lo dilettava, ricavandovi sempre la sua morale per alcune osservazioni sulle naturali mosse di quelle ragazze a profitto dell’arte sua.

Antonio D’Este

Se Canova trova nella danza una ricchissima fonte d’ispirazione, anche il mondo della danza guarda Canova e, più in generale, il filone neoclassico, consolidando così una stretta relazione con le arti figurative. Nel Traité élémentaire théorique et pratique de l’art de la danse (1820) il celebre coreografo e teorico Carlo Blasis, nell’individuare le qualità di un danseur demi-caractère, fa riferimento alle opere di Canova, decantandone la delicatezza, la purezza, la morbidezza dei contorni e la rara dolcezza.

Antonio Canova, Danza dei figli di Alcinoo.
Antonio Canova, Danza dei figli di Alcinoo, 1790/1792

Nella produzione canoviana la danza è un tema ricorrente, sviluppato sia in scultura che in pittura. Tra le varie opere, quella che attribuisce un particolare valore a questa forma d’arte come espressione di un popolo è La Danza dei figli di Alcinoo. Realizzato tra il 1790 e il 1792, è un bassorilievo in gesso che raffigura un episodio narrato nell’ottavo canto dell’Odissea: la danza offerta da Alcinoo, re dei Feaci, in onore di Ulisse. Canova compone la scena quasi teatralmente. Al centro posiziona i figli Alio e Laodamante che, librandosi in aria, eseguono un salto in perfetto en dehors. A sinistra un gruppo di spettatori, catturato dalla bravura dei due giovani, accompagna il movimento allungando le braccia. A destra la famiglia reale è affiancata da Ulisse, completamente rapito dalla bellezza della danza. Canova, oltre a tradurre la contemplazione dell’eroe accuratamente descritta da Omero – “e non si riavea dallo stupor, che gl’ingombrava il petto, l’atto del guardare ammirato i guizzi dei danzatori” – riesce a fermare nel gesso il leggiadro slancio dei due corpi, enfatizzato da un drappo che fluttua al di sopra delle loro teste.

Antonio Canova, Cinque danzatrici con ghirlande di fiori, 1799

Per Canova la danza non soltanto concretizza uno dei più importanti concetti dell’estetica neoclassica, ossia quello della grazia, ma costituisce anche un gioioso passatempo e una forma di evasione dalle difficoltà della vita. Durante il suo soggiorno a Possagno tra il 1798 e il 1799, fuggito dalla pericolosa instabilità politica della Repubblica Romana, Canova realizza un gruppo di tempere in stile pompeiano. La disposizione spaziale delle danzatrici, bilanciate in un gioco di simmetrie e corrispondenze, nonché le posizioni dei corpi, in equilibrio su un piede, realizzano un preciso disegno coreografico che dona ai dipinti armonia e musicalità.

Particolarmente famosa è la serie delle danzatrici, tre statue a grandezza naturale che incarnano la grazia giovanile. La Danzatrice con le mani sui fianchi, scolpita per l’imperatrice Joséphine de Beauharnais ed esposta con successo al Salon di Parigi, trasferisce nel marmo l’eleganza di un passo, contraddistinto da una corrispondenza incrociata di braccia e gambe che crea un perfetto equilibrio tra la parte superiore e quella inferiore del corpo.
La Danzatrice col dito al mento, commissionata dallo scrittore Pietro Giordani per conto del banchiere Domenico Manzoni, rappresenta la più dolce espressione della grazia: la testa piegata delicatamente sulla spalla destra, il braccio sinistro appoggiato morbidamente sul fianco, la mano destra portata al mento con delicatezza.
La Danzatrice con i cembali, commissionata dal conte Andrea Kyrillovic Razumovskij, raffigura invece l’armoniosa fusione di danza e musica. Il corpo, colto nell’istante in cui esegue un passo di danza, sembra muoversi al ritmo dei suoi cembali, tenuti elegantemente sopra la testa.

Antonio Canova è l’artista che ha immortalato, per usare le parole di Omero, “il sommo pregio dell’arte della danza”, immagine per eccellenza di grazia, armonia e bellezza; è lo scultore che ha cercato di creare una fusione tra danza e scultura, arti intrinsecamente diverse ma accomunate dalla ricerca di una comune bellezza espressa dal corpo.

Silvia Mozzachiodi