
As long as my ballets are danced, I will live.
Rudolf Nureyev
Nel firmamento della danza Rudolf Nureyev è come una stella che, seppur spenta, continua a brillare: nel ricordo, speciale e indelebile, di chi l’ha visto; nella danza maschile delle nuove generazioni; nei balletti che ha lasciato in eredità. Dal 21 dicembre al 13 gennaio Rudolf Nureyev rivivrà sul palcoscenico del Teatro alla Scala con La Bayadère, balletto che aveva creato per l’Opéra di Parigi e che per la prima volta sarà portato in scena dal Corpo di Ballo della Scala, diretto da Manuel Legris, con un nuovo allestimento di Luisa Spinatelli.
La Bayadère è uno dei balletti più importanti nella carriera di Nureyev, sicuramente quello dal forte valore simbolico. Nel 1961 segnò l’inizio della sua inarrestabile ascesa. In tournée a Parigi con il Kirov, l’allora ventitreenne Rudolf Nureyev danzò il terzo atto della Bayadère. Fu un trionfo, la rivelazione di un fuoriclasse. Parigi ne fu abbagliata e, poco tempo dopo, fu onorata di poter offrire a quell’astro nascente il grande salto verso la libertà: il diritto d’asilo.
Nel 1992 La Bayadère diventò l’ultimo atto, spettacolare e commovente, di una vita interamente dedicata alla danza. Fu la coraggiosa impresa di un uomo che sfidò la sua cagionevole salute e lottò contro il breve tempo accordatogli dall’AIDS per realizzare il suo ultimo sogno: coreografare il balletto che aveva cambiato la sua vita, spalancandogli le porte del successo e della notorietà in Occidente, per l’Opéra di Parigi, simbolo della città che lo aveva accolto. Al termine della prima rappresentazione, l’8 ottobre 1992, Nureyev salì sul palco, fragile e sofferente. Fu la sua ultima apparizione, accolta dal pubblico con una fragorosa e commossa standing ovation. Morì tre mesi dopo.
Silvia Mozzachiodi