Skid, la danza come metafora dell’esistenza

Skid di Damien Jalet
Skid di Damien Jalet

Su RaiPlay è disponibile Skid, creazione di Damien Jalet su musica di Christian Fennesz e con la scenografia di Jim Hodges e Carlos Marques da Cruz. Focus del lavoro è la gravità, una forza invisibile ed ineluttabile esplorata dal coreografo non soltanto come una condizione fisica che spinge all’estremo la ricerca coreografica ma soprattutto come una condizione simbolica che trasforma la danza in una poesia visiva.

In scena diciassette danzatori, muovendosi su una pedana con un’inclinazione di 34° che termina nella fossa dell’orchestra, creano una serie di azioni coreografiche particolarmente significative dal punto di vista semantico ed emozionale. Il suggestivo passaggio dei danzatori allude al viaggio della vita. L’inarrestabile discesa verso il golfo mistico evoca la morte. L’intreccio dei corpi rimanda alla fitta rete delle relazioni umane, fonte di conforto o causa di collisioni.

La scrittura coreografica esplora l’irrefrenabile attrazione verso il basso attraverso due modalità che esemplificano un differente approccio alle difficoltà poste dalla vita: abbandonarsi alla forza di gravità scivolando, cadendo, roteando, oppure resistere alla misteriosa forza alzandosi in piedi, scalando la pedana e danzando.

La bellezza della coreografia risiede anche nella capacità di creare delle potenti immagini attraverso la disposizione spaziale dei danzatori. Tra queste la marea – fenomeno strettamente legato al concept dello spettacolo perché dovuto all’attrazione gravitazionale esercitata dalla Luna – dove l’innalzamento e l’abbassamento dell’acqua è ricreato dal movimento ondulatorio dei performer, seduti in fila in cima alla pedana.

Ma la forza immaginifica di Skid esplode soprattutto nella scena finale dove un danzatore, avvolto da un tessuto elastico color tinta carne, compie dei movimenti spasmodici. Uscito dalla protezione del suo bozzolo, si ritrova nudo e solo, con davanti a sé la ripida pedana. Inizia a scalarla, prima in quadrupedia e poi in piedi, fino a raggiungere la vetta per poi precipitare. È l’allegoria della vita, dalla nascita alla morte, e nel mezzo la nostra storia.

Silvia Mozzachiodi