Sott’acqua, tra luci ed ombre, irrompe un respiro, affannato da una profonda angoscia. Improvvisamente un silenzio assordante cala sull’ultima inspirazione, una sospensione innaturale che introduce il tuffo di una donna. Il corpo, attraversato da un fascio di luce, galleggia intorpidito. Il volto, incorniciato dai fluttuanti ricci, appare velato. Poi il primissimo piano degli occhi, specchio di una sofferenza vissuta in silenzio e in solitudine, ora espressa nella cristallina trasparenza della danza.
Così inizia Sink or Swim (2017), cortometraggio diretto da Louis-Jack e coreografato da Charlotte Edmonds con la magistrale interpretazione di Francesca Hayward (Principal Dancer del Royal Ballet). Il film, ispirato all’autoritratto dell’artista Ian Cumberland, rappresenta un’immersione nell’abisso della depressione, una discesa nell’oscurità della mente attraverso la profondità della danza. La coreografia, di grande forza espressiva, dà forma e sostanza al malessere: lo sguardo assente rivela disinteresse, il corpo rannicchiato chiusura, la lentezza dei movimenti abbattimento, l’intercalare delle pause apatia. Ogni gesto si carica di uno spessore psicologico, restituendo sentimenti quali la vulnerabilità e la rassegnazione.
Dopo aver rappresentato la depressione nelle sue più cupe sfumature, il film cambia registro con un crescendo musicale e coreografico travolgente. La danzatrice, infatti, inizia la propria lotta contro il fantasma di cui è prigioniera, cercando di riemergere dall’inabissamento con tutta la forza di cui dispone. La danza, insieme alla musica di Matt Dunkley, esprime ora la risalita verso la superficie con salti che riscoprono l’impulso alla vita o che lanciano un grido d’aiuto; con carezze che si liberano della gelida cortina della solitudine; con movimenti protesi verso l’alto per salvarsi dall’annegamento, metafora in tutto il cortometraggio della depressione.
La raffinatezza della coreografia consiste nel creare dei richiami tra la danza nell’acqua, che simboleggia la percezione interiore della depressione, e la danza fuori dall’acqua, che ne rappresenta la manifestazione esteriore. A riecheggiare non sono solo i passi, come il grand jéte o l’entrechat, ma soprattutto la qualità del movimento, sempre fluido e sinuoso, come se il corpo fosse costantemente immerso nell’acqua, effetto ottenuto anche grazie alla tecnica slow motion.
Sink or Swim è un cortometraggio viscerale in cui la danza è più della semplice rappresentazione di uno stato d’animo. È la vita restituita in tutta la sua umanità, fragile e misteriosa, forte e luminosa.
Silvia Mozzachiodi