
Nel 1835 un ragazzo di quattordici anni, nato nel comune francese di Lavans-sur-Valouse, partì alla volta – o forse è meglio dire alla conquista – di Parigi. Fu un lungo viaggio, intrapreso a piedi, durato due anni ma reso possibile da una grande forza di volontà. Giunto nella capitale francese, dopo un apprendistato con il famoso artigiano Romain Maréchal, fondò il proprio marchio che rivoluzionò il mondo della pelletteria e del viaggio elevandoli “a forme d’arte”. Questa è la storia di un self-made man che, partito dal nulla, ha costruito un impero ancora oggi tra i più prestigiosi al mondo. Il suo nome? Louis Vuitton.

Nel bicentenario della nascita, avvenuta il 4 agosto 1821, la Maison celebra il suo fondatore con una serie di iniziative che ne mettono in luce lo spirito visionario. Uno dei progetti ha coinvolto duecento artisti che hanno reinterpretato l’iconico baule di Louis Vuitton dando vita a duecento opere che saranno esposte nelle vetrine LV di tutto il mondo. Tra questi il coreografo svedese Alexander Ekman, figura di spicco della danza contemporanea a livello internazionale, artista dalla cifra stilistica accattivante che ha saputo combinare l’umorismo alla riflessione. Nella sua interpretazione il baule di Louis Vuitton, in linea con la sua capacità di conferire al palcoscenico una propria fisicità, diventa un acquario all’interno del quale due danzatori si cercano, si stringono, si vivono. I loro corpi, partecipi di una condivisa solitudine al di sotto della superficie dell’acqua, volteggiano sinuosi fino a quando la loro unione genera qualcosa di nuovo, una forma inedita ottenuta con gli abiti di Charlie Le Mindu, fatti interamente di capelli. È un passo a due suggestivo che parla di come le relazioni possano isolarci e/o trasformarci.


Questa non è la prima volta che Alexander Ekman crea una coreografia nell’acqua. Come non ricordare A Swan Lake (2014), la sua dirompente interpretazione del celebre balletto classico con in scena un vero e proprio lago. L’effetto, ottenuto inondando il palcoscenico con 5000 litri d’acqua, è a dir poco magico: i riflessi dei ballerini nell’acqua e i riverberi dell’acqua sui ballerini; i corpi che scivolano, si tuffano e si librano; la melodia dell’acqua prodotta dall’energia della danza. Un’impresa coreografica e scenica unica che ha dovuto fronteggiare evidenti difficoltà, dagli infortuni dei danzatori all’isolamento dell’impianto elettrico, ma che ha saputo stupire e incantare il pubblico. Alexander Ekman è una continua sorpresa.
Silvia Mozzachiodi