Chi ha messo la nostra arte sulla strada che sta percorrendo? Chi l’ha resa schiava di un magnifico ma dispotico padrone: la musica? Siamo tutti noi, coreografi, ballerini e ballerine. In effetti non è la musica che ci ha schiavizzati, ma siamo noi stessi che abbiamo, di nostra iniziativa, accettato catene il cui peso si è sentito solo ora. Queste catene, le spezzeremo?
Serge Lifar
Con queste parole Serge Lifar, ballerino e coreografo a lungo direttore del balletto dell’Opéra di Parigi, lanciò il suo grido di ribellione in Le Manifeste du Chorégraphe (1935). Liberare la danza dal giogo della musica, ossia da un rapporto di dipendenza, fu un vero e proprio imperativo categorico.
Lifar si oppose con forza alla danza libera di Isadora Duncan che, impiegando musica alta come quella di Chopin o di Beethoven, contribuì alla diffusione del motto “il n’est pas d’œuvre musical qu’on ne puisse danser”, non c’è musica che non si possa danzare. Affermazione che lasciava al compositore una libertà assoluta ma che riduceva il coreografo “à l’esclavage”, alla schiavitù.
Serge Lifar prese le distanze da tutta quella musica che seguiva i propri dettami ritmici e formali costringendo i ballerini a danzare variazioni eccessivamente lunghe o dai ritmi troppo complicati. In particolare, in un articolo pubblicato su La Revue musicale e intitolato “Igor Strawinsky: législateur de ballet”, il coreografo attaccò apertamente il compositore dei Ballets Russes per aver considerato la coreografia “una realizzazione plastica” derivante dalle esigenze indiscutibili della musica.
I complicati ritmi e fraseggi delle composizioni di Stravinskij crearono non pochi problemi ai coreografi, in particolare a Vaslav Nijinskij che durante la realizzazione del Sacre du printemps fu aiutato da Marie Rambert nell’analisi della partitura e nelle prove con il corpo di ballo. Le ballerine, infatti, non riuscivano a memorizzare tutti i difficili conteggi, al punto da doverli annotare su dei pezzi di carta come raccontò la danzatrice Lydia Sokolova nella sua autobiografia.
Serge Lifar decretò l’autonomia della danza ribaltando le tradizionali fasi di sviluppo dell’opera coreutica. La musica, non dovendo influenzare la danza né a livello ritmico né sul piano interpretativo, doveva essere scritta a coreografia ultimata, così da poterne rispecchiare la struttura ritmica. In tal modo il coreografo era libero di sviluppare la propria visione creativa senza dover sottostare al quadro della musica. Esemplare fu il balletto Icare (1935), andato in scena per la prima volta all’Opéra di Parigi il 9 luglio 1935, esattamente ottantasei anni fa. Icare fu l’applicazione dei principi enunciati da Lifar nel Manifesto:
1. Non possiamo e non dobbiamo ballare tutto;
2. Il balletto deve rimanere strettamente legato alla sua base naturale: la danza;
3. Il balletto non deve essere l’illustrazione di nessun’altra arte;
4. Il balletto non dove prendere in prestito il suo schema ritmico dalla musica.
Con Icare Serge Lifar assunse un ruolo di primo piano non solo realizzando la coreografia prima della musica ma creando egli stesso una struttura ritmica che soltanto in un secondo momento fu orchestrata dal compositore Arthur Honegger. Fu un’opera rivoluzionaria che liberò la danza da un rapporto di totale subordinazione nei confronti della musica e che attribuì al coreografo il ruolo di choréauteur della partitura.
Silvia Mozzachiodi