L’urlo della danza

Friedemann Vogel in Not in my hands

Friedemann Vogel, Principal Dancer e “Kammertänzer” del Balletto di Stoccarda, nonché ambasciatore per l’International Dance Day del 2021, ha coreografato in collaborazione con l’ex solista Thomas Lempertz la sua prima opera: Not in my hands, assolo sulle note del Lacrimosa dal Requiem di Wolfgang Amadeus Mozart. Una musica toccante che ricorda un pianto trattenuto e che si sposa perfettamente con il dramma vissuto dal mondo della danza a causa della pandemia. La coreografia, interpretata dallo stesso Vogel e filmata dal Principal Dancer Roman Novitzky, esplora la vasta gamma di sentimenti che hanno attraversato i ballerini durante la chiusura dei teatri: impotenza, incertezza, nostalgia, speranza.

Nella solitudine di un palcoscenico spoglio, sprovvisto persino delle quinte, il corpo del danzatore, di spalle alla sala, freme nell’immobilità imposta dalla pandemia. È un’immagine allegorica: la danza, l’arte del movimento per eccellenza, è ferma ed inerme. I muscoli sono in tensione. La mano, nervosa, si chiude in un pugno, così stretto da alterare il bianco pallore e portare in superficie le vene delle braccia. È l’inquietudine implosa di un corpo, improvvisamente disabituato a danzare, imprigionato in un arresto forzato. Il ricordo del calore del pubblico porta il busto a piegarsi all’indietro. Le mani si riaprono, le braccia si allungano verso la platea alla ricerca di quelle sensazioni impagabili che un danzatore prova sulla scena.

L’espressività del corpo raggiunge l’apice dell’intensità quando il danzatore lancia con tutta la forza di cui dispone un urlo lancinante, che si propaga inascoltato intorno a lui, esprimendo le angosce più profonde dei danzatori. Un gesto molto potente e simbolico che rievoca L’urlo di Edvard Munch con una raffinata differenza: mentre il soggetto del quadro si comprime la testa con le mani, Vogel stringe con veemenza la parte addominale del corpo, quel famoso plesso solare che per Isadora Duncan, la rivoluzionaria danzatrice dei primi del Novecento, costituisce il centro propulsore da cui si irradia il movimento.

Not in my hands è la danza come specchio dell’anima, capace di riflettere il tumulto interiore dei danzatori in questo difficilissimo momento storico, ma rappresenta anche lo spirito di sopravvivenza di un’arte che, grazie alle possibilità offerte dall’era digitale, si è reinventata riuscendo a portare la danza direttamente a casa.

Silvia Mozzachiodi