
La mitologia classica rappresenta una fonte d’ispirazione inesauribile per il mondo dell’arte. Letterati, pittori, scultori, registi teatrali e cinematografici hanno offerto molteplici rappresentazioni e rivisitazioni dei soggetti mitologici. Anche i coreografi hanno largamente attinto al patrimonio della cultura classica. Uno dei miti più rappresentati è quello di Orfeo, il poeta e cantore sceso negli Inferi per riprendere la sua amata Euridice. L’unica condizione posta da Ade e Persefone è di non voltarsi mai all’indietro. Ma Orfeo, vinto dal desiderio, si gira e nell’istante di uno sguardo perde la sua Euridice. Una storia dal fascino perpetuo perché racconta alcune delle più potenti forze che scuotono la vita dell’essere umano, l’amore e il desiderio di sfuggire alla morte.
Come rappresentare coreograficamente il momento topico del mito, ossia quando Orfeo si volta perdendo per sempre il suo amore? Tra le tante produzioni, si propongono l’Orpheus di George Balanchine, capofila del balletto neoclassico, e l’Orpheus und Eurydike di Pina Bausch, la fondatrice del Tanztheater. Da un punto di vista linguistico le due versioni sono agli antipodi: la danza accademica rielaborata in una logica di coerente sviluppo in Balanchine e l’originalità di uno stile che fonde la danza moderna con una nuova gestualità in Bausch. Nelle intenzioni, invece, i due coreografi condividono l’idea di trattare il soggetto mitologico come una storia universale che racconta la debolezza dell’essere umano, la perdita dell’amore, la natura dei limiti umani, il potere onnipresente del fato e l’ineluttabilità della morte.
Orpheus di George Balanchine (1948)

Orpheus è un balletto in tre scene di George Balanchine su musica di Igor Stravinsky e con la scenografia e i costumi di Isamu Noguchi. Andato in scena al City Center of Music and Drama di New York nel 1948, il balletto consolida la partnership tra Balanchine e Stravinsky, iniziata vent’anni prima con l’Apollon Musagète. Il soggetto del balletto ricalca da un lato lo schema narrativo delle Metamorfosi di Ovidio, nel cui decimo libro è narrato il mito di Orfeo ed Euridice, e dall’altro adotta le soluzioni drammaturgiche introdotte dalla celebre versione musicale di Christoph Willibald Gluck (1762). Nello specifico: l’incipit che colloca l’azione scenica dopo la morte di Euridice; la figura di una guida (Amore nell’opera lirica di Gluck, l’Angelo della Morte nel balletto di Balanchine) che sull’esempio dantesco accompagna Orfeo nella sua missione; la presenza delle Furie, completamente assenti in Ovidio così come la guida.
Il cammino dei due amanti verso una vita insieme è preceduto dall’assolo di Euridice che, emersa dalle ombre, avanza lentamente con una danza fatta di sospesi equilibri sulle punte, spesso fuori asse. Terminato l’assolo, Orfeo ed Euridice iniziano la loro risalita fuori dagli Inferi. Sono uno dietro l’altro, fisicamente insieme mano nella mano, ma distanti per l’assenza di quel reciproco sguardo che custodisce il loro amore. Euridice, ignara di non poter essere vista dall’uomo che ama, è alla ricerca di un contatto visivo e, in uno slancio pieno di ardore, volta lo sposo prendendolo per le spalle. Prontamente Orfeo gira la testa dall’altra parte, dando avvio ad un toccante inseguimento che segue due traiettorie ancestrali: il moto di rotazione di Orfeo che ruota su se stesso e il moto di rivoluzione di Euridice che gira intorno ad Orfeo. Alla fine il poeta, vinto dal desiderio suo e di Euridice, rimuove la maschera che indossa per guardare il suo amore e, in una sinistra pausa musicale, Euridice cade al suolo morta.
George Balanchine crea un pas de deux alquanto insolito poiché il ballerino, non dovendo guardare la partner, non può svolgere le normali funzioni di porteur. Soltanto in pochissimi frangenti la ballerina è supportata secondo la consuetudine del passo a due, come nella promenade in penché. La coreografia, oltre ad essere perfettamente connaturata all’espressione della musica di Stravinsky, è un perfetto connubio di danza e azione pantomimica che da un lato conserva un’importante traccia dei fondamenti della tecnica accademica e dall’altro riproduce gesti descrittivi come quello di Orfeo di coprirsi la vista. È un pas de deux che cerca di unire coloro che la morte ha già separato e tornerà a separare.
Orpheus und Eurydike di Pina Bausch (1975)

Nel 1975 Pina Bausch crea per il Tanztheater Wuppertal Orpheus und Eurydike, una tanzoper (opera danzata) che chiude il ciclo gluckiano iniziato l’anno precedente con Iphigenie auf Tauris. Le scene e i costumi sono realizzati dallo scenografo Rolf Borzik, stretto collaboratore della coreografa. Rispetto all’opera lirica di Gluck, Pina Bausch introduce delle varianti. La prima interessa il piano drammaturgico: riorganizza i tre atti dell’opera in quattro quadri (“Lutto”, “Violenza”, “Pace“, “Morte”) e ribalta il finale dalla parte del dolore e del lutto escludendo il lieto ricongiungimento dei protagonisti. La seconda variante riguarda invece il piano musicale, riprendendo alla fine il coro funebre del primo quadro come a voler chiudere un cerchio drammaturgico. Pina Bausch rafforza inoltre l’interazione fra i cantanti e i danzatori utilizzando sulla scena una doppia distribuzione dei tre ruoli principali – Orfeo, Euridice e Amore – ciascuno dei quali è interpretato sia da un ballerino che da un cantante.
L’incontro tra Orfeo ed Euridice avviene alla fine del terzo quadro. La loro temporanea riunione si compie nell’essenzialità di una semplice camminata che riesce a restituire la tensione tra i due corpi. Euridice si avvicina lentamente e prende la mano di Orfeo con infinita fiducia. Il poeta, di spalle e visibilmente trepidante, la conduce via. Il loro cammino prosegue nell’ultimo quadro. L’inizio è costellato di una commovente dolcezza che traspare dall’abbraccio di Euridice, dalla carezza di Orfeo, dalla stessa sequenza di movimenti che i due amanti eseguono insieme nell’armonia dei loro battiti. Presto questa tenerezza viene travolta da un ansioso turbamento che allontana i due amanti, prefigurando il tragico epilogo. Orfeo, nella sofferenza del suo conflitto interiore – voltarsi o non voltarsi – ed Euridice, nel suo innocente bisogno di sentirsi amata, materializzano i propri sentimenti con movimenti così espressivi che riempiono d’emozioni la scena spoglia. Alla fine Orfeo cede al desiderio e, voltandosi, corre incontro ad Euridice. Il loro abbraccio si scioglie lentamente nella morte di Euridice che scivola a terra esamine.
Pina Bausch realizza una coreografia perfettamente compenetrata alla tragica intensità impressa dalla musica di Christoph Willibald Gluck e dalle parole del libretto di Ranieri Calzabigi. Ogni singolo movimento rivela con grande forza espressiva i sentimenti dei protagonisti attraverso una danza di una toccante naturalezza e umanità che, senza ricorrere al virtuosismo, parla il linguaggio del cuore.
Silvia Mozzachiodi