Merce Cunningham

Il mio lavoro non ha per tema la danza, ma è danza.

Merce Cunningham

Centodue anni dalla nascita di Merce Cunningham, danzatore e coreografo tra i più influenti del XX secolo e tra i più importanti dell’intera storia della danza. Artefice di una vera e propria rivoluzione, Cunningham offrì un nuovo orizzonte estetico che esercitò una profonda influenza sulla generazione della postmodern dance, di cui fu l’indiscusso pioniere, e più in generale sulla danza contemporanea. Dopo essere stato un brillante solista nella compagnia di Martha Graham, Cunningham intraprese un proprio percorso autoriale incentrato su una concezione formale della danza, anti-narrativa e anti-emozionale. In sessant’anni di carriera la sua arte, sottoposta ad un continuo processo d’invenzione e reinvenzione, presentò delle coordinate fondamentali che caratterizzarono la sua visione coreografica. Tra queste le chance operations, strumento creativo definito da Cunningham “una meravigliosa avventura” e impiegato per strutturare la coreografia in maniera casuale, lanciando una moneta, dei dadi o consultando il libro cinese I Ching.
Volendo tracciare un ritratto, viene spontaneo evocare l’immagine di un artista poliedrico.

Cunningham e la musica

“Musica e danza coesistono, proprio come la vista e l’udito
di tutti i giorni, la danza non dipende dalla musica”.

Merce Cunningham

Merce Cunningham rivoluzionò il rapporto danza e musica insieme a John Cage, il più grande assertore della musica d’avanguardia contemporanea che il coreografo conobbe durante gli anni di formazione alla Cornish School di Seattle. La loro partnership, la più radicale del XX secolo, determinò una svolta senza precedenti nella storia della danza sovvertendo il tradizionale rapporto tra le due arti. Se fino alla seconda metà del Novecento la musica era composta in funzione della danza e la coreografia in funzione della musica, Cunningham e Cage liberarono le due arti da qualsiasi rapporto gerarchico elevandole a entità indipendenti. La musica non fu più relegata al ruolo di accompagnamento e la danza non si ritrovò subordinata al ritmo e al tempo musicali.

La non-relazione tra danza e musica, ossia la loro giustapposizione scenica, si realizzò attraverso un innovativo metodo di lavoro: prefissata la durata della creazione, coreografo e compositore portavano avanti il proprio processo separatamente e in totale autonomia, per poi unire i rispettivi lavori al momento della rappresentazione. In tal modo danza e musica condividevano il medesimo spazio e tempo della performance senza alcun asservimento. Il primo lavoro realizzato da Cunningham e Cage secondo le procedure aleatorie fu Sixteen Dances for Soloist and Company of Three (1951), dove le sedici sequenze che componevano la coreografia erano strutturate indipendentemente dalla musica e seguivano un ordine di successione arbitrario deciso attraverso il lancio di una moneta. Questo metodo creativo si rivelò di fondamentale importanza nelle sue successive collaborazioni con i grandi compositori dell’epoca quali Morton Feldman, David Tudor, Earle Brown, La Monte Young e Gordon Mumma.

Negli anni Settanta, grazie alla diffusione delle tecnologie digitali che innescarono nuove possibilità creative, Cunningham si spinse ancora oltre. Ricorrendo ai sistemi di motion capture, la danza diventò completamente autosufficiente, tanto da poter musicare autonomamente i propri movimenti. Esemplare TV Rerun (1972), dove i danzatori indossavano delle cinture su cui erano cuciti dei sensori e dei trasmettitori radio capaci di tradurre i movimenti in suoni.

Cunningham e le arti visive

The conventional way for an artist to design for the theatre has been, in general, to make frame in which the stage action can take place usually with some kind of emphasis toward the stage action. We have acted somewhat differently within the boundaries, it is true, that the theatre presents. One of the purposes here is to not force a fixed point of view or idea through the dance, which is then framed by the decor and enforced by the music, but rather the possibility of discovery through the coming together of supposedly disparate things. We are not expressing a particular idea or feeling, but rather asking a question. Not to refurbish what we already know but to wonder about areas we don’t.

Merce Cunningham

Cunningham estese il principio dell’indipendenza creativa anche alle arti visive. Le scenografie, tradizionalmente finalizzate ad enfatizzare l’azione scenica, furono affrancate dalla mera funzione decorativa e assunsero una propria indipendenza e centralità al pari della danza. Così come la musica non fu più lo spazio temporale abitato dalla coreografia, la scenografia non fu più la cornice ornamentale della danza ma un elemento distinto e autonomo.

Questa concezione delle arti sceniche aprì la strada alla collaborazione con i due massimi rappresentanti del New Dada. Il primo fu Robert Rauschenberg, resident designer della Merce Cunningham Dance Company dal 1954 al 1964. La loro prima collaborazione avvenne nel 1952 quando, insieme a John Cage, presentarono al Black Mountain College un evento che passò alla storia come il primo happening. Il secondo fu Jasper Johns, artistic advisor della compagnia dal 1967 al 1980. Oltre a disegnare scenografie e costumi, Johns allargò il campo delle collaborazioni coinvolgendo artisti di punta come Frank Stella per Scramble (1967), Andy Warhol per RainForest (1968), Marcel Duchamp per Walkaround Time (1968) e Robert Morris per Canfield (1969).

Due punti chiave del suo stile compositivo sono affini all’arte newyorkese di quel periodo. Il primo fu l’impiego decentralizzato dello spazio scenico in linea con l’approccio a tutto campo dell’espressionismo astratto di Jackson Pollock e Willem de Kooning (artisti che Cunningham conobbe) e antitetico alla focalizzazione prospettica del balletto. Il secondo fu l’introduzione nel vocabolario coreografico di gesti e movimenti quotidiani in linea con la pratica del New Dada di impiegare nelle opere oggetti quotidiani e materiali di recupero.

Cunningham e la telecamera

“Devi amare la danza per restarle fedele. Non ti restituisce nulla, nessun manoscritto da conservare, nessun dipinto da mostrare sui muri e magari appendere nei musei, nessuna poesia da stampare e vendere, nient’altro che quel singolo fugace momento in cui ti senti vivo”.

Merce Cunningham

Dagli anni Settanta Cunningham, spinto da una inesauribile curiosità che lo portò a sviluppare inedite ricerche sulla danza, coltivò un forte interesse per le nuove tecnologie tessendo così nuove collaborazioni. Con i registi Charles Atlas ed Elliot Caplan realizzò video, ricorrendo anche ad attrezzature sofisticate come il chroma key in Blue Studio: Five Segments (1975). Con Nam June Paik si cimentò nella videodanza realizzando Merce by Merce by Paik (1978), opera simbolo di questo genere che combinava elementi coreografici creati appositamente per la telecamera con materiali video preesistenti. 

Il rapporto tra la danza e la cinepresa, oltre a incontrarsi sul comune terreno dell’immagine, offrì al coreografo nuove possibilità di sperimentazione del movimento in uno spazio completamente diverso da quello scenico. Mentre quest’ultimo è statico e con dei parametri fissi come la visione frontale, lo spazio del set è flessibile grazie ai cambiamenti di prospettiva offerti dalle inquadrature. La telecamera, piuttosto che semplice testimone dell’azione dei danzatori, svolse un ruolo centrale all’interno della coreografia e privò la danza della sua natura “impermanent“, relegata all’hic et nunc della rappresentazione.

Silvia Mozzachiodi