La Joie de Vivre

Parigi, 1934. Lo Studio des Ursulines, un cinema d’essai situato nel V arrondissement, presenta un film originale e raffinato in stile liberty: La Joie de vivre, un cortometraggio d’animazione creato dal pittore e incisore inglese Anthony Gross in collaborazione con il fotografo americano Hector Hoppin e con la musica del compositore ungherese Tibor Harsányi.

Accolto con entusiasmo dalla critica, viene definito una “fantasia coreografica”, definizione curiosa ma calzante che coglie in pieno lo spirito dell’opera: esprimere la gioia di vivere attraverso movimenti espressivi e ritmati. La danza è intesa come l’espressione fisica dei moti dell’anima, come il mezzo privilegiato per trasmettere sensazioni attraverso l’immediatezza del linguaggio del corpo e senza il filtro della parola. La Joie de vivre può pertanto essere considerato una coreografia disegnata: così come il coreografo crea una coreografia organizzando i movimenti in successione, Anthony Gross disegna una serie di immagini che nella loro concatenazione vanno a creare una sequenza di movimenti. Altra caratteristica comune al mondo della danza è il rapporto d’interdipendenza tra il piano visivo e quello sonoro che nel cortometraggio intrecciano un rapporto complementare trovando una precisa affinità logica ed espressiva.

Il corto inizia con tono spumeggiante. Due donne, una bionda e l’altra mora, camminano in un contesto industriale emanando una gioia contagiosa. La loro falcata, spigliata ed energica, si trasforma ben presto in una danza fatta di salti leggiadri e movimenti voluttuosi. Giunte in una centrale elettrica, danzano in cima ai cavi dell’alta tensione le cui scintille non fanno altro che potenziarne le acrobazie.

Questo clima spensierato e surreale è bruscamente interrotto da un imprevisto: la ragazza bionda, mentre alza la gamba, perde la scarpetta che va a sbattere contro una porta contrassegnata dalla parola “danger” (pericolo) e dal simbolo del teschio. Esce un giovane operaio dall’aspetto imponente e le ragazze, spaventate, si danno ad una folle fuga. Il ragazzo le insegue in bicicletta per restituire la scarpetta perduta ma il suo ardore raddoppia il terrore delle fanciulle che trovano rifugio in un paesaggio idilliaco.

A contatto con la natura, le protagoniste ritrovano la propria gioia. Danzano spensierate tra i fiori e le farfalle, si lanciano da un albero all’altro per mezzo di liane e nuotano come sirene in un lago. Scovate dal ragazzo, la fuga riprende a un ritmo frenetico per terminare in una stazione ferroviaria dove avviene la risoluzione dell’equivoco. Il giovane riesce finalmente a riconsegnare la scarpetta e, in un’atmosfera scherzosa, il trio da una cabina di controllo devia le traiettorie dei treni. Il corto finisce con i tre giovani che pedalano felici nel cielo sulla bicicletta.

Quello della Joie de vivre è un mondo stravagante, non completamente estraneo alla realtà ma pur sempre radicato nel regno della fantasia. Pertanto, in questo contesto, la danza diventa estrema poiché qualsiasi movimento è possibile, come fluttuare nell’aria senza gravità o rimbalzare sulle linee elettriche. Un’autentica gioia di vivere, istintiva e spontanea, caratterizza il corto di Gross. È la vita che germoglia allegra ed esultante.

Silvia Mozzachiodi