
Chi non conoscerà mai il piacere di entrare in una sala con delle sbarre di legno e degli specchi, chi smette perché non ottiene risultati, chi ha sempre bisogno di stimoli per amare o vivere, non è entrato nella profondità della vita, ed abbandonerà ogni qualvolta la vita non gli regalerà ciò che lui desidera. È la legge dell’amore: si ama perché si sente il bisogno di farlo, non per ottenere qualcosa od essere ricambiati, altrimenti si è destinati all’infelicità.
Rudolf Nureyev
Ottantatré anni fa, il 17 marzo 1938, un bambino veniva alla luce su un treno a vapore della Transiberiana, circondato dalla magia dei boschi innevati, cullato nei suoi primi respiri dal dondolio del vagone. Era Rudolf Nureyev, icona intramontabile della danza, amato e idolatrato da folle oceaniche come una pop star. La sua nascita, avvenuta “in corsa” nell’incanto della natura selvatica, aveva qualcosa di fiabesco, di profondamento romantico, ma prefigurò anche il destino di un uomo cosmopolita e selvaggio. Iniziò così il suo viaggio, vissuto sempre con passione e carisma ma terminato troppo presto. A soli cinquantaquattro anni fu strappato alla vita da una malattia assai diffusa negli anni Ottanta, l’Aids, che egli affrontò con indomito coraggio.
La sua vita ha il sapore di un romanzo o di un film: è la storia di un self-made man che ha inseguito il proprio sogno con una singolare forza di volontà, nonostante il parere contrario di un padre militaresco e le avversità provenienti dall’estrema povertà; è il racconto di un uomo affamato di vita, di arte, di cultura, libero da inibizioni e pregiudizi, che ha amato intensamente e che ha danzato il più possibile; è la storia di uno spirito ribelle e indomabile, pronto a prendere fuoco e a lanciarsi nella battaglia.
Il suo temperamento poco incline alle regole, emerso già negli anni di formazione all’Accademia Vaganova di San Pietroburgo, si accentuò nella compagnia del Kirov (oggi Mariinskij), dove attirò l’ostilità dei colleghi e della direzione a causa di comportamenti impropri; tra questi modificare i costumi per valorizzare l’aspetto fisico e rivedere i passi delle variazioni. Il suo carattere anticonformista era incompatibile con lo stile di vita imposto dalle autorità sovietiche che ben presto schedarono il suo nome.
Nel 1961 il grande salto verso la libertà: Nureyev, in tournée a Parigi con il Kirov, continuò ad alimentare la sfiducia delle autorità sovietiche non conformandosi alle regole. Quando la compagnia arrivò all’aeroporto per raggiungere la seconda tappa della tournée, Londra, il giovane ballerino fu informato di dover tornare a Mosca. Sicuro che non sarebbe mai più uscito dall’Unione Sovietica, chiese asilo politico alla Francia, diventando il primo artista di fama internazionale a varcare la Cortina di ferro. In patria fu condannato per alto tradimento e il suo nome fu cancellato da tutti i libri di storia della danza. Soltanto ventisei anni dopo Nureyev poté tornare in patria su invito di Mikhail Gorbachev. Un viaggio colmo di emozioni, un’immersione totale nei suoi ricordi. La commozione di riabbracciare la madre Farida, ormai cieca. L’umiltà e la riconoscenza nell’andare a trovare la sua prima maestra di danza che gli disse: “ho dovuto aspettare fino a cento anni per rivederti”.
Nureyev preservò sempre la sua libertà anche nei confronti del pubblico, ricambiandone l’affetto senza mai diventarne schiavo. Capì ben presto di dover “camminare davanti”, ossia di non compiacere gli spettatori assecondandone i gusti ma di seguire la propria evoluzione artistica. Desideroso di sperimentare nuovi stili, danzò un vasto repertorio che incluse i lavori dei più grandi coreografi del tempo come Martha Graham, Roland Petit, Maurice Béjart e George Balanchine. Nureyev, infatti, andò ben oltre alle divisioni “classico” e “moderno”, ritenendo che l’uno si rigenerasse dall’altro. Adottò questa politica durante la direzione artistica dell’Opéra di Parigi dove ampliò il repertorio della compagnia introducendo le creazioni di Merce Cunningham, William Forsythe e valorizzando i grandi classici del balletto, dei quali presentò le proprie versioni coreografiche note per le grandi difficoltà tecniche.
Nureyev rivoluzionò la danza maschile trasformandola nell’esaltazione della forza e della potenza e liberò il ruolo del ballerino dalla semplice condizione di porteur, conferendogli così la medesima importanza del ruolo femminile. Tra le tante partnership la più celebre fu quella con Margot Fonteyn, la stella inglese del Royal Ballet che lo prese sotto la propria ala subito dopo la fuga in Occidente. Profondamente diversi per età, carattere, cultura e stile, si completarono a vicenda, creando una combinazione magica ed emozionante che scaturiva da un sincero sentimento. La ballerina fu radicata nel cuore di Nureyev che la considerò un’amica (e forse non solo) preziosa e indispensabile.
Esigente e intransigente, non tollerava il compromesso e tantomeno la mediocrità. Pretendeva da tutti la massima collaborazione, dai ballerini alle maestranze, e non appena avvertiva il minimo cedimento il suo sguardo si infiammava. A chi lo accusava di essere iracondo e persino brutale, la sua risposta fu:
“Ringraziamo il cielo che ho un po’ di temperamento. Se non si ha un po’ di passione nelle cose, uno non vive, esiste”.
Rudolf Nureyev
In effetti Nureyev era altrettanto inflessibile con se stesso. Lavoratore instancabile, egli diventò Nureyev grazie a una determinazione estrema. A diciassette anni fu ammesso all’Accademia Vaganova con una certa riserva perché considerato troppo vecchio per acquisire il bagaglio tecnico necessario. Ma il giovane ballerino, animato da una grinta incommensurabile, determinato a vivere della propria passione, spinse i propri limiti all’estremo ripetendo i passi all’infinito. Il suo maestro, Aleksandr Pushkin, capì subito di avere tra le mani un diamante grezzo e riuscì a perfezionarne la tecnica e a svilupparne l’intensità espressiva senza snaturarlo. Perché al di là del suo talento, dei suoi salti che gli valsero il soprannome di “tartaro volante”, Nureyev aveva intorno a sé un’aura magnetica, percettibile sulla scena ma anche al di fuori. Ogni volta che si presentava alla ribalta con la sua camminata felina, il pubblico era totalmente sedotto. Era pura energia.
Rudolf Nureyev ha scritto una pagina importantissima e irripetibile della storia della danza. Il suo genio continua ad essere celebrato attraverso romanzi (Dancer di Colum McCann), film (Nureyev – The White Crow di Ralph Fiennes), documentari (Rudolf Nureyev – Dance to Freedom di Richard Curson Smith), balletti (Nureyev del coreografo Yuri Possokhov) e serate di gala. Il suo ricordo vive in chi l’ha visto come qualcosa di unico e speciale. La sua rivoluzione sopravvive nei corpi dei ballerini di oggi. La sua vita è una fonte d’ispirazione perché ci lascia vari insegnamenti: l’universalità dell’arte che non conosce confini e nazionalità; la libertà di amare e di essere se stessi; la forza di non arrendersi e di lottare per ciò in cui si crede e si desidera. Vivere la vita con passione ed entusiasmo.
Silvia Mozzachiodi