La danza è una poesia silenziosa che si esprime attraverso il movimento in un sincronismo di corpo e anima. Un’arte in cui è possibile cogliere emozioni e sentimenti in una sospensione onirica dalla realtà. Una forma di scrittura, una calligrafia del gesto, intrinsecamente espressivo e musicale, polivalente perché oltrepassa la barriera linguistica della parola.
Un lavoro coreografico in cui la danza intreccia uno stretto legame con la poesia è La rose malade di Roland Petit (1973), un passo a due di amore e di morte sull’Adagietto dalla Quinta Sinfonia di Gustav Mahler. Creato per la leggendaria ballerina russa Maya Plisetskaya che indossa un bellissimo costume disegnato da Yves Saint Laurent, Roland Petit trova la sua fonte d’ispirazione nella poesia The Sick Rose di William Blake (1794):


Composta di otto versi ripartiti in due quartine, la poesia narra di una rosa che viene deturpata da un verme invisibile. Pur essendo tra i componimenti “più enigmatici della letteratura inglese”, il tema centrale sembra essere la perdita dell’innocenza e il passaggio all’età adulta, segnata da malvagità e corruzione. Partendo dai versi di William Blake, Roland Petit crea una coreografia di grande lirismo, sostenuta in ogni passaggio dalla malinconia della musica di Mahler.
Nel buio della scena, pochi istanti prima dell’inizio del passo a due, i versi di William Blake risuonano nella profondità della voce di Roland Petit. Una declamazione che da un lato preannuncia allo spettatore il triste destino della rosa e dall’altro suggerisce uno stretto rapporto tra poesia e danza. L’arte della parola introduce l’arte del movimento in un confronto tra poetiche e linguaggi.
La rosa, sollevata dal ballerino come se fosse colta in un giardino, appare in tutta la sua regale bellezza. Le braccia sono delicati petali che compiono movimenti armoniosi. Il corpo è lo stelo che si muove dolcemente come accarezzato da un lieve soffio del vento. Fragile e inerme, la rosa cerca di liberarsi del giovane, allungandosi verso un altrove immaginario. Poi si abbandona tra le sue braccia, in un crescendo di slanci colmi di passione che sono enfatizzati dall’espressività della melodia e che culminano in un bacio. Prosciugata dall’ardore del partner, la rosa cade a terra pallida. I suoi movimenti, un tempo rigogliosi, sono ora sfumati e lenti. Le linee, prima così lunghe da sembrare infinite, si spezzano lentamente, accartocciandosi come i fiori che appassiscono. Gli ultimi petali cadono con struggente veemenza. Il giovane, alle sue spalle, cerca di contenere l’impetuosità della rosa come se potesse arrestare l’inevitabile processo. Ormai sfiorita del tutto, si adagia definitivamente dopo aver esalato il suo ultimo sospiro.
Silvia Mozzachiodi