La scultura che vola sulle ali della danza

Un viaggio nel cuore di una donna, nel ricordo di un amore. Un sogno ad occhi aperti che si materializza attraverso la danza, espressione dell’anima. Questo, e molto altro, racconta In her hands, un cortometraggio di Alice Pennefather con la coreografia di Valentino Zucchetti e protagonisti i danzatori Natalia Osipova e Matthew Ball.

Il film s’ispira alla relazione sentimentale tra Auguste Rodin (1840-1917), padre della scultura moderna, e Camille Claudel (1864-1943), una sua allieva divenuta in seguito assistente, musa e amante. Fin dal primo incontro Rodin è sedotto dal talento artistico, dal temperamento focoso e dalla bellezza conturbante della giovane Camille. Iniziano una storia appassionata ma tempestosa, contornata di incomprensioni, risentimenti e dolori. Smarrita la forza nel portare avanti un rapporto senza futuro – Rodin ha una compagna, Rose Beuret – Camille interrompe la relazione e prende le distanze anche da un punto di vista artistico, affermando la sua unicità e autonomia.

Camille Claudel

Il corto è ambientato nella Parigi del 1892, anno della fine della loro relazione. Camille (Natalia Osipova) è nel suo studio, impegnata a realizzare il busto della sua più cara amica, Jessie Lipscomb (Léa Jackson). Perseguitata dai ricordi del passato, interrompe il lavoro per chiudersi nella solitudine dei suoi pensieri. Le sue mani, un tempo vigorose e passionali, modellano ora l’argilla con stanchezza. Sembrano indebolite dall’eco delle parole di Rodin: “Je t’embrasse les mains mon amie, toi qui me donnes des jouissances si élevées, si ardentes, près de toi, mon âme existe avec force” (Bacio le tue mani amica mia, tu che mi dai piaceri così nobili, così ardenti, vicino a te, la mia anima vive con forza). Camille si immerge in una fantasia, immaginando di essere una delle sue sculture e di ballare con il suo amante (Matthew Ball). La danza diventa una dimensione dell’anima, lo specchio di uno stato interiore, un varco che lascia libere le emozioni.

La coreografia di Valentino Zucchetti racconta un amore puro e ardente attraverso la poesia della danza. Al pari di uno scultore, il coreografo plasma la materia dei corpi in modo sensuale, creando forme di grande forza espressiva che rievocano la componente carnale ed emotiva delle sculture di Camille e Auguste. I danzatori, nella fluidità dei movimenti, sembrano due figure che prendono forma dalla lavorazione dell’argilla, un effetto ottenuto anche dipingendo i loro corpi di un tenue colore che ne accentua la bellezza scultorea.

Oltre ad esaltare la fisicità dei due amanti, la coreografia mette in luce la travolgente passione, la tensione tra i corpi. I danzatori si cercano, si stringono, si amano, cullati nel loro reciproco trasporto dall’Élégie, op. 24 di Gabriel Fauré. La capacità del coreografo di creare una stretta corrispondenza tra il piano visivo e quello sonoro è particolarmente evidente nella sezione centrale. Così come la musica passa da una dolce malinconia ad una tragica veemenza, la danza di Camille passa repentinamente dalla gioia al dolore. Questo cambiamento è suggellato da un gesto emblematico: una sofferta stretta del proprio grembo che rappresenta la privazione del frutto del loro amore.

La raffinatezza del disegno coreografico consiste nel creare dei richiami tra la realtà e il sogno, tra la danza di Camille sola nello studio e il passo a due nello spazio buio della sua immaginazione. Ma Valentino Zucchetti va oltre, riecheggiando sensibilmente forme e motivi impiegati dai due scultori nelle loro opere: le mani che si sfiorano come in La Cathédrale di Rodin (1908); il bacio da Le Baiser di Rodin (1888-1889), il flebile accenno del valzer da La Valse di Claudel (1889-1893).

Durante il passo a due la macchina da presa segue i due amanti con accuratezza, infiltrandosi e indugiando nelle fessure del loro amore su tre livelli: si avvicina, valorizzando le espressioni, gli sguardi e i gesti di autentica tenerezza; si allontana, mettendo in risalto la bellezza del disegno coreografico e la pienezza del respiro che anima i loro movimenti; li riprende dall’alto, restituendo l’immagine di due piccole sculture immerse nell’abisso di una fantasia.

Natalia Osipova e Matthew Ball sono danzatori attori. Raccontano la storia d’amore di Camille e Auguste con grande intensità espressiva. I loro corpi sembrano fondersi tanto intenso è il sentimento che esprimono. I movimenti, perfettamente armonizzati, sono sentiti nel profondo. I gesti, rifiniti nel dettaglio, diventano una cassa di risonanza emotiva.
Nella scena che si svolge nello studio Natalia Osipova, con il suo sguardo penetrante ma allo stesso tempo perso, con i suoi lievi sospiri e con la sua spiccata gestualità e tattilità, offre una perfetta caratterizzazione del personaggio di Camille, restituendone il duplice volto di donna e artista.

In her hands è un omaggio alla figura di Camille Claudel, una scultrice dotata di un talento straordinario, una donna che ha vissuto con spirito d’indipendenza, un’artista che si è ritagliata un posto nella storia dell’arte lottando contro i pregiudizi morali e le restrizioni di genere. Morì nel 1943 nell’ospedale psichiatrico di Montdevergues, dopo trent’anni di reclusione forzata per volontà della madre e del fratello e nonostante il parere contrario dei medici.

Silvia Mozzachiodi