Carolyn Carlson e Mark Rothko, un dialogo poetico tra danza e pittura

Dialogue with Rothko di Carolyn Carlson (2013) è un assolo che dischiude un impulso visionario appassionato. È un incontro poetico tra la danza e la pittura, una suggestiva connessione tra il movimento e il colore. È un viaggio onirico nella pulsione creativa, nella dimensione dionisiaca dell’arte. È un dialogo utopistico tra due artisti che non si sono conosciuti ma che sono entrati in contatto attraverso una tela, Black, red over black on red (1964). Carolyn Carlson (1943) è tra le figure più importanti della danza contemporanea a livello internazionale. Mark Rothko (1903- 1970) è stato tra i principali esponenti del Color Field Painting, la pittura per campi di colore, una corrente dell’Espressionismo astratto.
Carlson e Rothko hanno una comune sensibilità artistica. La coreografa, interessata alle arti visive, definisce la sua danza una poesia visiva. Il pittore, affascinato dal mondo del teatro, considera i suoi quadri delle rappresentazioni teatrali e le forme che dipinge dei performer capaci di recitare in modo drammatico senza imbarazzo.

L’assolo nasce dall’omonimo libro della Carlson, Dialogue avec Rothko (2011), un tributo al pittore sotto forma di poesie. Attraverso la forza espressiva della parola, la coreografa si è immersa nell’arte di Rothko, nella profondità delle sue tele, nella potenza dei suoi colori, capaci di esprimere gli stati emotivi più intensi dell’esistenza come l’estasi e la tragedia. Tra questi colori spicca il nero, spesso associato agli stati di profonda depressione del pittore, che per la coreografa rappresenta la profondità di una creatività senza fine.

Tremore per la mano che dipinge – la mano che si tende – la mano che è.

Carolyn Carlson

Il punto di partenza del processo coreografico è il lavoro del pittore. Questo procedimento implica un confronto tra i due linguaggi. La danza e la pittura hanno molte affinità. Sono arti visive non verbali che si esplicano attraverso il movimento: per il pittore quello della mano, che si dispiega nello spazio della tela; per il danzatore quello del corpo, organizzato nello spazio della scena. Già all’inizio dell’Ottocento Jean-Georges Noverre, creatore del ballet d’action, paragona il lavoro del coreografo a quello del pittore in un famoso testo teorico intitolato Lettres sur la danse, sur les ballets et les arts (1803). Ma ecco il profondo scarto tra le due arti. La pittura vive sulla tela, la danza nel ricordo dello spettatore.

Carolyn Carlson mette in gioco la dimensione gestuale della pittura. La scena è composta da due grandi pannelli, che delineano il grande formato delle tele di Rothko, e da un tavolo da disegno, una tabula rasa pronta ad accogliere la gestualità della pittura in una forma coreografica. La creatività del pittore è suggerita dai movimenti delle mani e delle braccia che sono rapidi e impulsivi, fluidi e dinamici. Il cromatismo delle tele è richiamato dai guanti colorati che, indossati dalla coreografa, sembrano tracciare delle campiture nello spazio. Carolyn Carlson dipinge lo spazio scenico come Rothko dipingeva la tela.

Lo spettacolo riproduce un’altra caratteristica cruciale dei quadri di Rothko: l’inesplicabilità. Il pittore, contrario all’idea che le sue opere fossero spiegate, non intitolava i suoi lavori per lasciare agli osservatori la totale libertà interpretativa. Su questa linea si muove Carolyn Carlson. Dialogue with Rothko non intende raccontare la storia del pittore ma creare una poesia che ha per soggetto la visionarietà artistica di Rothko, non dissolta in una ordinaria narrazione biografica ma messa in risalto attraverso l’espressività della danza. In tal modo lo spettatore è libero di attribuire un proprio significato allo spettacolo, portando via sensazioni diverse.

La genesi di questo assolo è qualcosa di straordinario: il Color Field Painting di Rothko è diventato prima un Color Field Poeticising e poi un Color Field Dancing. Dalla pittura alla danza passando per la poesia, le tre arti dialogano, rivelando le loro profonde affinità.

Silvia Mozzachiodi